2018, 193min.
di Luca Facchini
con Luca Marinelli, Ennio Fantastastichini, Valentina Bellè
Recensione di Simone Giuffrida
Spoilerometro:

Non c'è nulla di questo lungometraggio sulla vita di Fabrizio De André che valga la pena di menzionare, sia per la maniera in cui viene affrontata la biografia del genovese, sia perché gli interi 193 minuti sembrano uno stillicidio eccessivo, tanto da influenzare il giudizio sul film.
Si salva solamente l'interpretazione di Luca Marinelli, simile a De André nelle fattezze, che con una performance convincente risolleva le sorti catastrofiche del film, un po' come accadrà con Craxi-Favino in Hammamet di Amelio. Nello stesso momento, però, si registra l’ultima e, purtroppo, deludente interpretazione di Ennio Fantastichini; l’attore entrato, nell’immaginario collettivo grazie a titoli come Porte aperte (di G. Amelio, 1990) o Ferie d’agosto (di P. Virzì, 1996), si spegnerà infatti pochi mesi dopo l’uscita del film.

Scrivere su questo prodotto di Rai Fiction è difficile perché ha la pretesa di rappresentare un omaggio ad uno dei più grandi cantautori e poeti che l'Italia e forse il mondo possa annoverare; la trama segue tendenzialmente la vita di Fabrizio De Andrè, partendo dalla terribile sera del 27 agosto del 1979 quando, insieme all'inseparabile compagna Dori Ghezzi, viene rapito nella sua tenuta in Sardegna.
Qui riaffiorano i ricordi di De André, dove i luoghi comuni si tagliano a fette così come accade per le battute dell’ambiente familiare. Non biasimatemi: per chi è cresciuto con le parole dei cantautori, che hanno accompagnato ogni attimo, ogni sensazione ed ogni età, guardare questo film, sentirne la costruzione dei dialoghi, è un autentico colpo al cuore. Il rammarico cresce soprattutto pensando a chi si cimenta nella visione del film senza aver mai visto né sentito De André.
Tutto quello che accade sembra messo lì a caso: il rapporto con Villaggio e Tenco, con la morte improvvisa proprio di quest'ultimo durante il Sanremo 1967, i primi accordi e persino il rapporto al limite dello psicotico con il fumo.

Ma la trama va avanti; la musica porta il giovane De André a suonare davanti ad amici e a teatro, dove viene notato da alcuni discografici con i quali pubblica il suo primo album in studio. Nasce poi il figlio Cristiano, di enorme talento, che durante la sua vita lotta contro l'inevitabile ombra del padre. Dopo la separazione dalla prima moglie c'è l'incontro con Dori con cui sboccia l'amore. Tempo dopo, si trasferiranno proprio in Sardegna. Dal punto di vista musicale e lavorativo nasce il sodalizio con Mina che dà popolarità al genovese cantando in tv La canzone di Marinella. Da qui sarà un successo in cui de André si fionda ondeggiando tra proprie creazioni di alto livello e celebri traduzioni di canzoni straniere dei vari Cohen, Brassens, Bob Dylan. Ma della musica nel film non si parla.
Dopo quattro mesi di prigionia il padre paga il riscatto e il cantautore, senza mai serbare rancore per i rapitori che non lo hanno mai maltrattato, riprende a suonare. Il padre, con cui ha sempre avuto un rapporto conflittuale, in punto di morte strappa a De André l'imbarazzante promessa di smettere di bere.
Ma l'apice del ridicolo si ha nella parte finale in cui la narrazione si conclude simbolicamente con la rottura della quarta parete con tutti gli attori del film che assistono alla proiezione dell'ultimo concerto tenuto da De André, ascoltando Bocca di rosa.
Probabilmente il minutaggio non aiuta, motivo per cui in televisione è andato in onda in due in due serate differenti; ma di certo non può essere questo un alibi. Il rammarico vero è che questo film, come molti altri riguardanti star della musica, , hanno ben poco a che fare con la musica stessa. I luoghi comuni abbondano.
Voto: 1/5
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