1998, 112min.
di Julio Medem
con Najwa Nimri, Fele Martínez, Nacho Novo
Recensione di Arianna Alessia Armao
Spoilerometro:

C’è qualcosa di magnetico negli sguardi di Otto e Ana, che ci agganciano per trascinarci in un buffo sogno inaspettatamente amaro. O forse l’incanto genera nelle atmosfere palpitanti da primo amore, nei ritmi giocosi, nei toni cupi che si snodano lungo il susseguirsi di incontri e di separazioni.

Dall’infanzia all’età adulta seguiamo Ana e Otto in tutte le loro avventure tragiche e sensuali, trovandoci di fronte un romanzo visivo che richiama in qualche modo le atmosfere, certo inimitabili, del mondo di Amelie – successivo – o di qualche pregevole antecedente. Un cinema tipicamente iberico, stando agli intenditori, vivace eppure toccante, dove la vittima sacrificale di traumi, silenzi e riavvicinamenti rocamboleschi è un amore singolare e forse destinato a rimanere soltanto immaginario, come ogni primo, indimenticabile amore.

Dall’affetto genitoriale più sincero e sperduto si scivola nella complicità carnale di fratello e sorella, per poi crescere induriti da tragici avvenimenti, congelati nei sensi e nel risentimento. Ana rimane la tenace protagonista della scena, con la sua aria risoluta e le sue maniere pittoresche. Otto si ritira in una superficiale solitudine, generata da un senso di colpa dal sapore quasi freudiano. L’incontro finale è inesorabile, scocca in un intrigo di sogni e coincidenze più che mai infauste, sì, quanto solo la vita sa esserlo.

Un film fragile, a tratti sconclusionato, in certi momenti persino snervante. Ma gradevole, simbolico, intenso, senza mai diventare svenevole o banale. Una splendida occasione per fremere, impressionarsi ed accendersi come quando eravamo giovani, molto più giovani di così. E per trascendere concezioni trite dell’amore, della famiglia, degli affetti, tipiche di un certo cinema diventato ormai nauseabondo.
Voto: 3/5
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