1961, 85 min.
di Jean-Luc Godard
con Anna Karina, Jean-Claude Brialy, Jean-Paul Belmondo
Recensione di Olga Milazzo
Spoilerometro:

Commedia, francese, musicale, teatrale, sentimentale. Sono queste le parole che il regista inserisce nei titoli di testa per definire il suo terzo lungometraggio.
Angela (A. Karina) è una giovane spogliarellista danese che vive a Parigi con il compagno Émile (J. Briarly). Un giorno, dopo un’esibizione, si confronta con una collega e si rende conto di volere diventare madre e, soprattutto, di volerlo subito, entro ventiquattro ore. Émile non ha la stessa fretta della compagna; questa divergenza tra i due porta al disastroso ma divertente coinvolgimento di Alfred (J. Belmondo), amico del ragazzo e innamorato di Angela.
In questo film lo spettatore vede un acerbo Godard sperimentare per la prima volta l’uso del colore e del suono. Ne consegue una tavolozza superba la cui intensità poggia sulle spalle di Vertigo di Hitchcock e sembra ispirare la filmografia di Almodovar. Fin dai primi fotogrammi, blu, bianco e rosso invadono gli occhi dello spettatore, dagli abbinamenti nell’abbigliamento di Angela fino alle luci scelte dal regista e alle scritte che compaiono sullo schermo a spiegare o commentare le sequenze. Le musiche, composte da Michel Legrand, suggeriscono l’idea di un musical e accompagnano i dialoghi dei personaggi, efficaci al punto di riuscire - a volte - anche a sostituirli.

La recitazione dei protagonisti di questo ménage à trois porta il pubblico in una dimensione teatrale in cui Karina divora la scena, (quest’interpretazione le valse l’Orso d'argento per la migliore attrice al Berlin International Film Festival e l’imperitura devozione di Godard), Brialy appare come un predecessore di Antoine Doinel e Belmondo sembra continuare ad interpretare lo stesso personaggio con cui aveva conquistato il pubblico l’anno precedente, il Michel di À bout de souffle.
La sintesi che ne scaturisce è una commedia incantevolmente plastica, un cinema dell’assurdo in cui le parole sono superflue, mentre musiche, colori e copertine di libri parlano per i personaggi. Un linguaggio che lo spettatore non conosce ma nella cui illogicità si riconosce.

Lo spaccato di quotidianità coniugale che Godard offre, propone una leggera e superficiale esegesi dello sguardo maschile sulla figura della donna e sul rapporto di questa con gli uomini.
Lo scambio di battute, apprezzabile soltanto in francese, che dà il nome al film è rappresentativo di questa visione: «Angela, tu es infame» «Moi? Je ne suis pas infame. Je suis une femme». Ne emerge un’idea della donna come incomprensibile, prepotente e capricciosa, cui non viene mai chiesto di spiegare le proprie posizioni; una figura che è più facile relegare nello spazio liminale del mistero inspiegabile, un euripideo ambiguo malanno (1).

Ne La donna è donna si ritrova tutta la potenza che esploderà con la Nouvelle Vague; Godard dissemina per l’intero film omaggi alle opere dei colleghi che ammira ma anche alle proprie (il personaggio di Alfred ha come cognome Lubitsch, esplicitamente omaggiato nei titoli di testa, così come Quatorze juillet di René Claire). Particolare spazio ha poi il sodalizio con il collega Truffaut, che lo spettatore di oggi riesce a cogliere nelle molteplici somiglianze con Domicile Conjugal (2) e Jules et Jim; la dedica al collega ed alla sua opera ha culmine nell’apparizione di Jeanne Moreau, cui Alfred chiede informazioni su Jules e su Jim.
Questo film ebbe una tiepida accoglienza quando uscì nelle sale; solo il tempo e forse la contestualizzazione nella cornice della Nouvelle Vague lo hanno premiato con l’attenzione che merita.
(1)«Zeus, perché hai dunque messo fra gli uomini un ambiguo malanno, portando le donne alla luce del sole?»
(Euripide, Ippolito, vv 616-617)
(2) Tanto curioso quanto raccapricciante il titolo con cui viene tradotto per essere diffuso in Italia, Non drammatizziamo... è solo questione di corna.
Voto: 3.5/5
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