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La scelta di Anne (L’événement)

2021, 100min.

di Audrey Diwan

con Anamaria Vartolomei, Kacey Mottet Klein, Sandrine Bonnaire


Recensione di Valentina Corona


Spoilerometro:



Quanto conta la storia nel successo di un film? Quanto la presenza del tema proposto all’interno del dibattito politico a lui contemporaneo? Quanto la necessità – nella direzione, nella critica e nello spettatore – di lasciare un segno sul tempo presente per suo mezzo? La risposta a questi interrogativi sembra coinvolgere (e travolgere) L’événement, secondo lungometraggio nei panni di regista della francese Audrey Diwan, giornalista e scrittrice successivamente approdata al grande schermo.

La scelta di Anne – questo il molto più didascalico titolo imposto dalla distribuzione italiana – si basa sul romanzo autobiografico di Annie Ernaux, che, a quasi quarant’anni dagli eventi, nel 2000 scelse di dare alle stampe la sua dolorosa e travagliata storia di aborto, vissuta nella Francia del 1963 in cui l’interruzione volontaria di gravidanza era ancora illegale.

È Anamaria Vartolomei a vestire i panni di Annie-Anne, studentessa universitaria intelligente e determinata che scopre di aspettare un bambino nel pieno della pianificazione del suo futuro; la determinazione contraddistingue Anne anche nella scelta di non portare avanti la gravidanza, nonostante la consapevolezza che questa ferma decisione si accompagnerà alla fatica della solitudine e della disobbedienza, nel silenzio degli uomini e delle istituzioni.




Da questo punto di vista il film di Diwan offre certamente una focalizzazione peculiare: la figura della giovane vittima del senso di colpa lascia spazio a quella della donna sicura di non volere proseguire in una gravidanza indesiderata, certa di non essere in grado, in quella fase della vita, di offrire a una nuova creatura le attenzioni e l’amore che merita e decisa a rivendicare il proprio diritto di scegliere. Su questo sfondo possono allora stagliarsi figure nuove, a ricomporre il puzzle di una società e di un’epoca, nel fil rouge dei personaggi che passano accanto ad Anne mentre prova con tutte le sue forze ad avvicinarsi all’obiettivo: le coetanee che la accusano di essere una “facile”, le amiche spaventate che non appoggiano la sua decisione, la platea degli ignari, i dottori spietati, il padre del figlio che porta in grembo, ansioso di sentire che è tutto finito e deciso a non offrire alcun contributo. Nemmeno la ginecologa che dietro compenso aiuta Anne ad abortire si configura come personaggio positivo, assuefatta com’è a una mattanza sempre uguale le cui vittime vengono obbligate a un impietoso silenzio.



Se la storia di Annie-Anne non può fare a meno di catturare lo spettatore – specie se spettatrice – e di immergerlo nell’assurdità di un mondo che si considera civile pur negando alle donne il diritto di scelta e di azione sui propri corpi – impossibile che la mente non corra all’oggi, dove altrettanti paesi civili continuano a rendere faticosa e impraticabile la scelta dell’aborto per il tramite dell’obiezione di coscienza –, altrettanto non può dirsi della regia di Diwan, che appare monocorde e spesso non in grado di fungere da più di mero accompagnamento alle vicende, piuttosto che da mezzo del loro potenziamento.


Che ruolo ha avuto, allora, la storia nel Leone d’oro al miglior film di cui L’événement è stato decorato nell’ultima Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia? Probabilmente un ruolo consistente. Forse troppo. Ma se non basta una buona storia a fare un bel film, innegabile è che l’arte e la sua valutazione esistono e sono possibili solo all’interno di un contesto sociale e politico: se qualche perplessità suscita il merito del premio cinematografico più ambito, osserviamo almeno felicemente che le donne sono di nuovo – e con forza – al centro del dibattito.




 

Voto: 3.5/5

 

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