2022, 137min.
di Robert Eggers
con Alexander Skarsgård, Anya Taylor-Joy, Claes Bang
Recensione di Mauro Azzolini
Spoilerometro:

Qual è, da un punto di vista estetico, il confine tra scelte autoriali e richieste di chi finanzia un progetto artistico? O meglio, è possibile identificare uno o più luoghi, all’interno di un film, in cui sia verificabile la prevalenza delle istanze del regista o di quelle della produzione? Se la prima di queste due domande non ha una risposta semplice, la seconda ne ha una senza dubbio affermativa rispetto alla quale The Northman rappresenta un interessante spunto di riflessione.
Pensato dal regista statunitense e co-prodotto da New Regency e Focus Features, l’ultimo film di Robert Eggers porta in scena la storia di una vendetta progettata e messa in atto nell’Islanda del X secolo. La trama proviene, infatti, dalle medievali Gesta danorum e racconta di Amleth, giovane figlio del re Aruvandil (E. Hawke) che, dopo aver assistito all’uccisione del padre da parte dello zio Fjolnir (C. Bang), giura di uccidere quest’ultimo e di salvare la madre (N. Kidman).
Gli anni passano in fretta e Amleth (A. Skarsgård) da bambino inesperto della vita diventa un feroce guerriero quasi prossimo a dimenticare la promessa. A ricordargliela sarà una veggente (Björk) incontrata per caso che lo metterà sulla strada di casa attivando un percorso di incontri, primo fra tutti quello con la schiava Olga (A. Taylor-Joy), essenziale per dare esito al suo destino.

Quasi mescolando il bisogno di restituire un’atmosfera che aveva caratterizzato The green knight di David Lowery (2021) e l’inquietante ossessione etnografica del Midsommar di Ari Aster (2019), Eggers costruisce un saggio di antropologia letteraria di ambito medievale in grado di scandagliare gli aspetti più profondi dei racconti su cui si fonda l’immaginario collettivo (basti pensare che la storia del giovane Amleth raccontata da Saxo Grammaticus rappresenta la base su cui si fonderà secoli dopo la rielaborazione shakespeariana) mettendone in discussione non tanto i luoghi comuni, quanto piuttosto gli stilemi. Il medioevo raccontato in questo film ha, infatti, poco a che fare con l’orizzonte cinematografico classico e punta a dare corpo ad una visione più tetra ed essenziale capace di mettere in luce il processo di formazione del protagonista. In questo l’autore dimostra di essere molto più vicino di molti suoi predecessori non tanto alla forma, ma alla sostanza dei racconti eroici della tradizione europea. I colori luminosi a cui certo cinema ci ha abituato sono sostituiti da più realistiche tenebre illuminate a stento e in modo incostante dalle fiamme dei fuochi notturni, gli accompagnamenti musicali allegri e spensierati cedono il passo al ritmo angosciante dei soli tamburi, così come banchetti e fasti di corte lasciano spazio a brutali riti d’iniziazione che segnano il passaggio dalla giovinezza all’età adulta.

L’operazione è, dunque, chiara: non si tratta di realizzare uno dei tanti film ispirati ad un racconto medievale, ma di dare forma cinematografica al legame profondo tra racconto e realtà di lunga durata che il medioevo ha lasciato in eredità alla cultura occidentale. Per farlo Eggers prova a mettere in campo le doti narrative e l’armamentario tecnico che ha già mostrato di saper utilizzare con grande maestria, e di volta in volta in modo differente, nei suoi primi due lavori.
Tuttavia qualcosa sembra non funzionare. Il simbolismo che dava tridimensionalità all’ansia piatta di The Lighthouse assume qui contorni disomogenei e appare come qualcosa di posticcio nel dare vita a visioni e sogni che popolano la mente del protagonista; allo stesso modo la rarefazione dello spazio e del tempo che caratterizzava The Witch si trasforma in una divisione forse troppo didascalica ed autoreferenziale.

Tornando alle domande iniziali sembra possibile ipotizzare che il mancato funzionamento di questi elementi sia da attribuire proprio al cortocircuito tra i desideri del regista e la volontà dei produttori di creare un film più adatto alle esigenze di un pubblico vasto. Eggers di fronte alla possibilità di un budget gigantesco ha dovuto inevitabilmente scendere a compromessi con l’industria cinematografica: il risultato è un film straordinario rispetto alla media, ma certamente non all’altezza delle sue capacità.
Voto: 4/5
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