1966, 111min.
di Michelangelo Antonioni
con David Hemmings, Vanessa Redgrave, Sarah Miles
Recensione di Giovanni Comazzetto
Spoilerometro:

Ogni guardare «trasuda falsità, perché è ciò che ci getta più al di fuori di noi stessi, senza la più piccola garanzia», ma «prevedendone in anticipo la probabile falsificazione, guardare diventa possibile; basta forse scegliere bene fra il guardare e la cosa guardata, spogliare le cose di tanti panni altrui» (1). Thomas (David Hemmings) è un fotografo di moda, giovane e insoddisfatto; convinto di vedere meglio degli altri la realtà, è attratto dal reportage sociale – all’inizio del film, lo si vede uscire da un ricovero per senzatetto, vestito come uno di loro; si scoprirà più avanti che il suo scopo era documentare la loro condizione per un libro di fotografia.

Thomas vede una coppia di amanti appartata in un parco. Si apposta e li fotografa di nascosto. La coppia si accorge di lui, la donna (Vanessa Redgrave) è furiosa e lo aggredisce. L’uomo, invece – molto più anziano di lei –, si allontana, e ad un tratto scompare. Thomas sviluppa i negativi dei suoi scatti, e le foto restituiscono una scena dal senso completamente diverso rispetto a quanto ha visto. Nei positivi c’è un uomo armato, e Thomas crede di aver sventato un omicidio. Ma poi, ancora, in una delle foto vede quello che potrebbe essere un corpo esanime. Lo ingrandisce, ma è un ammasso di puntini grigi. Ciò che credeva di aver visto si disintegra nel corso dell’ingrandimento (blow-up, appunto). Più approfondisce, meno comprende.

In Blow-Up Antonioni riflette sui diversi mezzi espressivi (cinema, fotografia, pittura), sulle relazioni che intercorrono tra loro e con la realtà. Il vicolo cieco in cui si arena l’indagine di Thomas rappresenta l’ambiguità stessa delle arti visive. Non è un caso che le immagini sgranate della scena del presunto omicidio siano paragonate ai quadri di un pittore astratto, amico del fotografo. Il passaggio in cui Thomas tenta di ricostruire la vicenda basandosi sulla sequenza delle foto evoca poi il rapporto tra immagini fisse e in movimento, con un’allusione ai princìpi alla base del montaggio cinematografico.

Nella scena finale, Thomas asseconda un gruppo di mimi che gioca a tennis con pallina e racchette immaginarie. Qui la rappresentazione artistica raggiunge il massimo grado di astrazione: il medium cinematografico funziona anche senza un referente oggettuale.
(1) J. Cortázar, Le bave del diavolo, in Id., Le armi segrete, Einaudi (2008).
Voto: 4.5/5
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