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Harry a pezzi (Deconstructing Harry)

1997, 96min.

di Woody Allen

con Woody Allen, Elisabeth Shue, Judy Davis, Demi Moore


Recensione di Giovanni Comazzetto


Spoilerometro:



La vita di Harry Block, scrittore newyorkese, è un caos ingovernabile: ha tre matrimoni falliti alle spalle, un figlio che non vede mai, problemi di alcolismo e dipendenza da pillole, conflitti irrisolti con la figura paterna. Parenti ed ex mogli lo odiano perché ha l’abitudine di appropriarsi della sofferenza altrui e trasformarla in «oro letterario».

Ad aggravare una situazione già piuttosto complessa si aggiunge ora il blocco dello scrittore, insieme alla notizia dell’imminente matrimonio dell’ex fidanzata (interpretata da Elisabeth Shue), che lui ama ancora, con un suo amico scrittore (Billy Crystal). Turbato dalla piega presa dalla sua vita, Harry si reca nella sua vecchia università per ricevere un’onorificenza, ma anche questo viaggio si rivela un totale disastro.



Film ricchissimo – di star, di battute salaci, di invettive contro il perbenismo della società americana – Harry a pezzi è l’invito ad entrare nell’universo – umano e narrativo – del protagonista, “decostruendone” la figura: ci si trova di fronte a uno scrittore celebre, onorato persino dall’università che lo aveva espulso, ma anche erotomane, nevrotico, fedifrago, alcolizzato, irresponsabile; costretto ora a una spietata autoanalisi da una crisi che lo travolge – creativa, personale, esistenziale. Il montaggio, frenetico e intermittente, è adeguato alla «frammentaria e disarticolata esistenza» del protagonista; abbondano le invenzioni comiche, e non mancano gli episodi memorabili – tra tutti, quello di un attore (Robin Williams) che improvvisamente appare a tutti “fuori fuoco” sul set, e quello della scoperta di un “fosco segreto” nella storia di una tranquilla famiglia ebrea. L’ironia dissacrante di Allen non risparmia niente: l’amore, il sesso, la religione, la tradizione – che non è altro, dice il protagonista, se non «l’illusione della perpetuità».



Diversi sono gli omaggi del regista ai suoi maestri (qui, tra i tanti, il Bergman de Il posto delle fragole, il Fellini di Otto e mezzo), e sempre brillante, talvolta pirotecnica la sceneggiatura di quest’opera che è sicuramente una delle più rilevanti della sterminata filmografia alleniana.

Se è fin troppo facile ravvisare in alcune scene dei riferimenti ironici, più che alle note vicende personali di Allen, alla rappresentazione “distorta” che si è diffusa sul suo conto negli Stati Uniti, il nucleo essenziale del film sembra risiedere invece nelle riflessioni sul rapporto tra arte e vita che percorrono il caleidoscopio di scene tratte dal passato e dal presente del protagonista, alternate ad episodi tratti dai suoi romanzi. La distinzione tra i due piani, ossia tra la realtà – presente e passata – della vita di Harry e la sua immaginazione – che di quella realtà si nutre, sublimandone i tratti –, ad un certo punto viene meno, con personaggi immaginari che dialogano direttamente con lo scrittore o con lo scrittore stesso che compie un viaggio onirico all’inferno, cercando invano di “rapire” la propria ex fidanzata.



Ciò che Harry comprende alla fine, in una scena dal sapore felliniano in cui incontra tutti i personaggi del proprio pantheon letterario, è che, a dispetto della lucidità con cui è solito demistificare l’altrui tendenza all’autoinganno, pure la sua coscienza è frammentata e tutt’altro che trasparente a se stessa.

Per tentare di ricomporla, e ritrovare l’ispirazione perduta, Harry deve allora far pace con i propri demoni e accettare il consiglio dell’amico appena deceduto, che gli appare in sogno: «essere vivi è essere felici». Il finale agrodolce celebra dunque il potere salvifico dell’immaginazione, ma sancisce allo stesso tempo la rassegnazione del protagonista a poter “funzionare” solo nell’arte e non nella vita. D’altro canto, come recitano le prime righe del romanzo che Harry inizia a scrivere alla fine del film, «Tutti conosciamo la stessa verità: la nostra vita consiste in come scegliamo di distorcerla».


 

Voto: 4.5/5

 




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