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L’ombra del dubbio (Shadow of a doubt)

1943, 108min.

di Alfred Hitchcock

con Teresa Wright, Joseph Cotten, Macdonald Carey


Recensione di Luca La Russa


Spoilerometro:



In questo film, tra i primi lavori realizzati dal regista negli Stati Uniti durante l’imperversare della guerra nel vecchio continente, Hitchcock costruisce un raffinato meccanismo di mistero e tensione che fondamentalmente ruota attorno a un tema: la possibilità che la tranquillità ordinaria di una ordinarissima famiglia, riflesso di un modello sociale tipicamente americano, venga sconvolta dalla scoperta della presenza del “male” (più precisamente del crimine e della violenza) all’interno dei propri confini, sicuri solo apparentemente.

Tale contaminazione viene praticata dal serial killer di ricche vedove Charlie che, cercando di nascondersi dalla polizia sulle sue tracce, si insinua come un biblico serpente nel “paradiso” della soleggiata California (tale ingresso è iconicamente marcato dal fumo nero del treno che lo porta nella cittadina). Qui trova rifugio a casa della famiglia della sorella che lo accoglie entusiasta non avendo idea della terribile verità celata dal tanto amato parente. Solo la nipote, chiamata anche lei Charlie, riesce a mettere insieme gli indizi che si presentano e a riflettere sulla vera natura dello zio, con cui da sempre ha un rapporto privilegiato che la porta a parlare di loro due come gemelli quasi telepatici. Il progressivo avvicinarsi alla scoperta dei crimini dello zio la mette presto in pericolo, poiché il cinico Charlie non esita a tentare più volte di ucciderla, temendo di essere denunciato.



L’opposizione dualistica tra i due omonimi protagonisti, rappresentati come se ognuno fosse il doppelgänger dell’altro, è al centro di tutta la pellicola e trova risonanza nella calcolatissima ripetizione del motivo del doppio o del due, come François Truffaut nelle celebri interviste al maestro della suspense non manca di fare notare: ci si trova due volte in chiesa e alla stazione, abbiamo due detective che indagano su due sospettati e, tornando ai protagonisti, questi vengono introdotti allo spettatore in scene separate palesemente speculari, entrambi distesi sul letto vestiti, ognuno in posizione simmetrica rispetto all’altro.



In un’opera così piena di dettagli e rimandi, come spesso accade coi grandi film di Hitchcock, non possiamo nemmeno ignorare i contenuti impliciti nei possibili sottotesti, cercando una reale comprensione della ricchezza di ciò che in ogni caso funziona come un ottimo thriller, ma in cui notiamo che l’autore suggerisce vari livelli di lettura: oltre alla esplicita contrapposizione tra innocenza (nipote) e colpa (zio) emerge un aspetto profondamente disturbante, ossia la possibile relazione incestuosa tra i due, come sembra suggerire la scena del dono dell’anello.

Non è certo l’unica volta in cui il tema più generale dell’”illecito” o “inaccettabile socialmente” riecheggia in pellicole firmate dall’autore inglese. Hitchcock già nei primi minuti istruisce noi spettatori sulla verità sul criminale Charlie facendo passare la macchina da presa da una finestra aperta sulla sua camera, alludendo dunque all’idea del voyeurismo alla base dell’esperienza cinematografica ben prima del più celebre La finestra sul Cortile, fortemente connotato da tale riflessione sul mezzo cinematografico e in particolare sul modo in cui assistere a crimini e tensione sullo schermo intrattenga noi pubblico. Sono solo alcuni tra gli spunti offerti da un riuscitissimo film guidato come sempre dall’infallibile simmetria e dalla precisione di Hitchcock, il quale lo considerava tra i suoi preferiti in assoluto.


 

Voto: 4/5

 

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