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Hiroshima Mon Amour

1959, 92min.

di Alain Resnais

con Emanuelle Riva, Eiji Okada


Recensione di Cristiano Lo Presti


Spoilerometro:



Io lo so bene che le righe che seguono faranno arrabbiare tanti presunti cinefili di professione, ma ho una scadenza che mi costringe a scrivere e l’esigenza di essere onesto nel farlo. E poi prima o dopo questo fastidio che mi porto dentro da anni deve pur trovare uno sbocco. Questo fastidio ha un nome ben preciso e si chiama nouvelle vague.

Avrei potuto essere più spietato e parlare di un lungometraggio di Godard, su cui forse avrei avuto anche più cose da dire, però immagino che finirei al rogo e un po’ mi scoccia. E poi questo film l’ho visto più di recente.


C’era una volta uno studente del ginnasio che con i suoi compagni, da bravo aspirante intellettualoide folgorato sulla via di The Dreamers (Bernardo Bertolucci, 2003), cominciava ad approcciarsi al cinema “che conta”. E da bravo acerbo radical chic pre-hipster non poteva che cominciare dalla corrente francese che a cavallo tra gli anni cinquanta e i sessanta compieva la sua piccola rivoluzione facendo proprie le tematiche care alla gioventù che di lì a poco avrebbe fatto il ’68. Un cinema che sbalordiva e faceva innamorare – non importa se sul serio o solo a parole – con caratteristiche uniche quali cattiva recitazione, sonoro pessimo, dialoghi pretenziosi e personaggi insopportabili.

Ma forse sto divagando e soprattutto, come ho già detto, per oggi Godard lo mettiamo da parte.


Dicevamo: Hiroshima mon amour.



Premesso che mi sono approcciato alla visione del film con le migliori intenzioni e che al di là di alcune sequenze molto crude, forti e francamente un po’ disturbanti (è un effetto voluto, quindi chapeau), l’ho trovato inizialmente molto interessante, soprattutto da un punto di vista tecnico.

Due amanti in una camera da letto, come in un rifugio fuori dal mondo, fanno i conti con la memoria dell’orrore della guerra, incarnata dalla bomba atomica su Hiroshima ma anche da un amore giovanile della donna, un soldato tedesco morto nelle campagne francesi. Più che le parole dei due personaggi è il montaggio che, alternando le sequenze in camera da letto a immagini di repertorio della devastazione della guerra e dei feriti giapponesi, a far vivere allo spettatore lo stesso orrore che vivono i protagonisti. Come dicevo, immagini molto crude ma – malgrado il fatto che a poco svengo – proprio per questo è un incipit molto interessante. Dialoghi un po’ ripetitivi, ma stiamo sempre parlando di un film francese ed è come aspettarsi che un film di Michael Bay non abbia esplosioni.


Chi ben comincia è a metà dell’opera, no? Vediamo.



Il resto della trauma, pardòn, della trama vede l’uomo e la donna, dopo aver passato quest’unica notte d’amore insieme, dirsi che non si vogliono lasciare ma che non possono stare insieme, e poi ancora e ancora e ancora. Talvolta sembra che forse sì, forse lei, che dovrebbe ripartire il giorno dopo, potrebbe restare. Ma poi no, non può. Non può o non vuole. Oppure vuole, e forse può, anche se ai continui (e sottolineo continui) «voglio rivederti» di lui non fa che rispondere «no»… insomma, che palle. Un film di una noia mortale.



Io però lo so che tra le pieghe di tutta questa noia si nasconde un bel film, lo percepisco. E infatti a tratti qualcosa di bello mi arriva: un’inquadratura (la fotografia è a onor del vero splendida), i fantasmi dei protagonisti, però è più forte di me, devo fare una pausa. E su 92 minuti di film di pause ne ho fatte tre o quattro. Mi alzo, vado in bagno, esco in balcone, insomma prendo una boccata d’aria prima di immergermi nuovamente nella soporifera visione di questo film.


Sulla recitazione che posso dire? è un film francese di fine anni cinquanta, la naturalezza non puoi certo trovarla perché non è contemplata. Ma ho visto di peggio.


Voto: 2.5/5


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