1936, 99 min.
di Charlie Chaplin
con Charlie Chaplin, Paulette Goddard
Recensione di Laura Caviglia
Spoilerometro:

Charlie Chaplin: «Il mondo degli affari ha accolto favorevolmente il passaggio dal potere dell’uomo al potere della macchina nel contesto industriale. Fattore che ha abbassato il costo dei beni prodotti. Ma questo stesso mondo rimane contrario ad ogni cambiamento del sistema capitalistico che potrebbe facilitare lo stesso acquisto di quei beni ora a buon mercato».
Albert Einstein: «Non sei un comico, sei un economista. In ogni caso, come penseresti si possa risolvere tutto ciò?»
Charlie Chaplin: «Riducendo le ore di lavoro, stampando più moneta e controllando i prezzi».
Questa conversazione, svoltasi nel 1931 nella casa berlinese di Einstein durante un tour mondiale di Chaplin, è riportata in Charlie Chaplin. A political biography from Victorian Britain to Modern America [1].
Nel decennio tra la Prima Guerra Mondiale e il 1929 i prodotti dell’industria americana, così come i prodotti del cinema americano, si erano definitivamente imposti sui mercati stranieri, in coincidenza con lo svilupparsi di una politica di liberismo estremo. In questo contesto prende definitivamente forma il mito di Hollywood e di un’industria cinematografica capace di presentare al resto del mondo l’american way of life. A questa fase di crescita segue, però, un periodo di crisi iniziato con il crollo di Wall-Street e protrattosi per tutti gli anni Trenta: nel 1933 almeno 13 milioni di cittadini statunitensi venivano registrati come disoccupati.
Passando dai più malridotti palcoscenici londinesi fino a giungere negli Stati Uniti con la compagnia di Fred Karno, Charlie Chaplin iniziò a recitare per il cinema come attore protagonista nel 1914 e ben presto diede vita al personaggio del vagabondo Charlot il quale divenne una maschera ricorrente nei suoi film. Fin dall’inizio, contrariamente all’immagine del sogno americano che imperversava nelle opere dell’epoca, Chaplin decise di incarnare il prototipo dell’emarginato, un personaggio dall’aspetto stravagante e sgualcito, dalle mimiche pompose, quasi scimmiottanti il perbenismo borghese. Questa maschera permise a Chaplin, in film come Luci della città (1931), di conciliare l’intrattenimento per il grande pubblico con un focus sui contrasti di un panorama sociopolitico caratterizzato da divari economici e ingiustizie sociali attraverso una critica dal sapore umanitarista e romantico.
Probabilmente è con Tempi Moderni che la comicità di Charlot si oppone più apertamente all’immaginario capitalista, presentando la disumanità della teoria dell’organizzazione scientifica del lavoro di Taylor e del principio Fordista della catena di montaggio: il film mette in scena il tema della disoccupazione e del ricatto di un sistema economico in cui è necessario dover scegliere tra fame e povertà o sfruttamento del lavoro in fabbrica. Durante una conversazione con lo scrittore socialista Max Eastman, Chaplin avrebbe dichiarato che Tempi Moderni «sarebbe nato da un’idea astratta, un impulso a dire qualcosa sul modo in cui la vita viene standardizzata e canalizzata, gli uomini trasformati in macchine e il modo in cui io mi sento al riguardo» [1].


Come già ne Il Monello (1921) la storia del vagabondo Charlot si intrecciava e legava con quella di un orfanello, in Tempi Moderni l’ex-operaio Charlot si imbatte nell’orfana interpretata da Paulette Goddard: sono incontri necessari tra personaggi emarginati dai medesimi meccanismi di esclusione sociale fondati sul divario tra terzo (e quarto) stato e restanti classi sociali.

La trama si articola rimarcando uno dei topoi principali del cinema di Chaplin, cioè l’antiautoritarismo. Ma l’ergersi delle forze dell’ordine a principale antagonista è anche il pretesto per la creazione di continue gag di derivazione manifestamente slapstick, in cui assurdità comportamentali e incidenti bizzarri uniti al contrasto plastico tra l'aspetto di Charlot e il contesto lavorativo/urbano sostengono un intreccio puntualmente oscillante tra il comico e il melodrammatico, determinando la cifra stilistica di uno degli autori che maggiormente hanno segnato il cinema del Novecento.
[1] – Carr R., Charlie Chaplin. A political biography from Victorian Britain to Modern America; Routledge, 2017.
Voto: 4/5
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