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La caduta della casa Usher (La Chute de la Maison Usher)

1928, 61 min.

di Jean Epstein

con Jean Debucourt, Marguerite Gance, Charles Lamy


Recensione di Mauro Azzolini


Spoilerometro:



Alle origini del cinema horror, in una particolarissima terra di mezzo in cui le pellicole sperimentali incontrano quelle commerciali, si colloca un titolo tanto interessante quanto dimenticato. La caduta della casa Usher di Jean Epstein rappresenta infatti uno dei tentativi più avanzati, insieme a parte della produzione espressionista tedesca, di ripensamento di un prodotto letterario di successo attraverso gli stilemi di un cinema non standardizzato, non didascalico.

La trama segue soltanto apparentemente quella dell’omonimo racconto di Edgar Allan Poe e dalla produzione dello scrittore statunitense attinge a piene mani mescolando e confondendo materiali: un uomo viene chiamato dall’amico Lord Roderick Usher a fargli visita nel castello in cui abita e in cui alterna la preoccupazione per la salute della moglie all’esaltazione per il ritratto di lei che sta dipingendo. Il quadro e le condizioni fisiche della donna sembrano intimamente legati, infatti più questo progredisce e sembra condensare la vitalità di Lady Madeleine, più la donna si spegne, fino a morire nel momento in cui il ritratto è effettivamente compiuto. Il finale, in un turbinio di eventi inspiegabili, vedrà ribaltato il rapporto tra la morte di Madeleine e l’esistenza del dipinto mentre la dimora è devastata dalle fiamme.



Non solo La caduta della casa degli Usher, ma anche Ligeia e Il ritratto ovale forniscono l’impalcatura al lavoro di Epstein il quale però punta a mantenere un livello di fedeltà all’opera di Poe programmaticamente differente. Non è infatti il rapporto diretto con la trama, quanto quello con l’atmosfera complessiva dei racconti che il regista (che per questa pellicola si avvale della collaborazione di un giovane Luis Buñuel) prova a mantenere. Gli eventi non sono effettivamente raccontati, ma piuttosto lasciati intuire, resi desumibili dal rapporto tra le inquadrature, dal sovrapporsi tra esse e dal loro ripetersi.



Ad occupare costantemente la scena, pur popolata dai protagonisti, sono gli elementi naturali: fuoco e aria su tutto. Insieme al vento, motore della narrazione in un modo tanto semplice quanto paradossale se si pensa che il cinema muto per sua natura trova un ostacolo nell’impossibilità di resa degli effetti sonori, sembra esservi però un elemento fisico rappresentato dallo sguardo di Lord Usher. L’interpretazione di Jean Debucourt, con gli occhi perennemente spalancati a guardare una dimensione che va oltre quella del reale, costituisce forse l’archetipo del gotico maschile su cui si costruiranno generazioni di Dracula (da Bela Lugosi a Gary Oldman).



Più che degli elementi naturali quello di Epstein, in piena continuità con le avanguardie pittoriche francesi e con i primi tentativi di film d’arte d’oltralpe, è allora un cinema dei sensi; una modalità espressiva in virtù della quale è possibile rendere conto di un dramma senza descriverlo in modo lineare, ma lasciandone cogliere i tratti essenziali. Un cinema allucinato e allucinante che non investe solo sulla costruzione della messa in scena (gli ambienti sono scarni, i costumi basici), ma affida al montaggio la responsabilità di inserire i singoli elementi in un contesto di senso più ampio affermando allo stesso tempo tutti i limiti del muto e tutte le sue straordinarie potenzialità.


 

Voto: 3.5/5

 

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