1996, 93min.
di Enzo D’Alò
Recensione di Mauro Azzolini
Spoilerometro:

Il clima natalizio ha, da sempre, tra le sue caratteristiche l’accantonamento delle differenze sociali. I film di ogni tempo raccontano di una magia che, seguendo la più buonista delle impostazioni, ha il potere di mettere da parte le distanze tra ricchi e poveri. Attenzione però, mettere da parte non significa cancellare né tanto meno sovvertire. In un’epoca in cui il capitalismo è riuscito a colonizzare definitivamente il terreno dell’immaginario, rendendo impossibile anche solo sognare qualcosa di diverso, le parole di Gianni Rodari – comunista convinto che l’educazione a non pensarsi schiavi passasse prima di tutto per l’esercizio della fantasia – suonano quanto mai attuali. Ed è proprio da un racconto dell’autore piemontese che è tratto La freccia azzurra.
L’intreccio è semplice: in un comune italiano, poco prima del 6 gennaio, i bambini si accalcano
davanti alla vetrina del negozio di giocattoli della Befana per scegliere cosa chiederle in dono.
Tra questi c’è Francesco, orfano, che come tutti gli altri scrive la lettera ed entra a consegnarla. Ad accoglierlo trova Scarafoni, assistente truffatore interessato solo al danaro, il quale lo manda a quel paese dicendo che ai bambini poveri la befana non porta regali. Vista questa scena e consapevoli del cattivo stato di salute della vecchina, i giocattoli prendono vita e nella notte dell’Epifania evadono dal negozio alla ricerca di Francesco. Parte da qui una serie di peripezie che li vedrà sconfiggere Scarafoni e che naturalmente consentirà al bene di trionfare grazie all’intervento risolutivo della Befana.

La storia si dipana su un filo delicato che tiene insieme azione e atmosfere sognanti, il tutto condito da una dose non indifferente di ironia. Ma non c’è solo questo. Chiunque abbia letto una fiaba durante l’infanzia sa che non esiste nulla di più intenso dei colori che questa è in grado di stimolare nella mente di un bambino. Una delle magie realizzate da D’Alò (qui al suo primo lungometraggio) consiste nell’essere riuscito a dare corpo a questa vividezza. I blocchi uniformi di colore - chiaramente definiti, ma allo stesso tempo leggeri – distinguono gli ambienti e i personaggi, conferiscono calore e si rendono attrattivi con una grazia che nessuna delle coeve e luminescenti produzioni americane o giapponesi riesce lontanamente ad eguagliare.

Scelte grafiche e di sceneggiatura concorrono dunque al raggiungimento di un obiettivo. Così come nel testo di Rodari, al fondo della storia adattata dal regista con Umberto Marino c’è, infatti, la volontà di utilizzare il racconto di fantasia come strumento di comprensione della realtà: l’impossibilità di Francesco di ricevere un trenino mentre i bambini ricchi ottengono regali su regali non è altro che la proiezione dei diritti negati ad ogni lavoratore nell’economia di mercato, il simbolo dell’assenza di qualsiasi giustizia sociale. Di fronte alla difficoltà di immedesimarsi nella condizione di un bambino povero degli anni ’60, colori e ironia rappresentano il mezzo per far sentire a proprio agio il piccolo spettatore moderno con coordinate semplici e trasmettere un messaggio. La forma è al servizio del contenuto, della sostanza.

A rendere questo film una piccola perla fuori dal comune contribuiscono in modo decisivo le interpretazioni di Dario Fo e Lella Costa, ingaggiati per doppiare rispettivamente Scarafoni e la Befana, e la straordinaria colonna sonora di Paolo Conte.
La freccia azzurra prima che un progetto pedagogico sotto forma di cartone animato natalizio è un’opera d’arte straordinaria capace di incantare e di far sognare anche chi bambino non è più, caratterizzata da una dolcezza che non scade mai nello stucchevole o nel banale, ma che anzi stimola continuamente la riflessione.
Voto: 4/5
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