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Typhoon Club

  • traumfabrikblog
  • 9 ott
  • Tempo di lettura: 2 min

1985, 115min

di Shinji Sômai

con Tomokazu Miura, Yuichi Mikami, Shigeru Benibaya


Di Arianna Alessia Armao


Spoilerometro

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Prepariamoci a una tempesta ormonale. A un’adolescenza intensa, rumorosa, eccessiva. A scoprire i moti giovanili del Giappone di fine secolo. A passare qualche giornata e poi una notte surreale in una scuola di provincia, senza mai capire davvero cosa stia per succedere. Ecco il mondo di Shinji Sômai: un mondo piccolo, arrabbiato, scomposto e malinconico. Un universo cinematografico apprezzato dai grandi maestri, eppure passato in secondo piano, tra le opere di nicchia, ma di recente restaurato grazie alla rassegna della Tucker Film, promossa anche dal Far East Film Festival.


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In Typhoon Club troviamo alcuni motivi ricorrenti della produzione di Sômai. Innanzi tutto l’assoluto protagonismo delle turbolenze della giovinezza, accompagnato dall’assenza di figure adulte di spessore: persino il corpo docente, che potrebbe in qualche modo rappresentare un riferimento o un’ancora di salvezza, finisce per rivelarsi popolato da persone grottesche o immature. E così, seguiamo un gruppo di giovani studenti che crescono senza disciplina. Tra loro spiccano le ragazze, che rompono, in modi diversi, tutti gli schemi della compostezza femminile, risultando vulcaniche e affascinanti, oltre che sorprendentemente libere.


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Nel preludio e nell’esplosione di questo tifone si rispecchia tutta la violenza della vita nella sua fase di massima fioritura, e dunque della morte. C’è chi è già improvvisamente adulto, con il peso del sacrificio umano sulle spalle. E chi invece si rifugia nelle monellerie. Chi, con qualche gesto avventato, oltrepassa la soglia delle età. Tutte quante, comunque, sono interpretazioni eccezionali, il che sembra suggerire un buon rapporto tra i piccoli volti tempestosi e la direzione registica, se non addirittura un divertimento condiviso.


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Sebbene a tratti esasperato oppure oscuro, il cinema di Sômai ha il pregio di aver portato sullo schermo le giovani generazioni giapponesi che si affacciavano sull’orlo del decennio perduto. Per intenderci, quelle che incarnavano la ricostruzione del paese e il successivo miracolo economico, seguiti dalle bolle speculative e dalla lunga recessione. Quelle che ereditavano i traumi intergenerazionali legati alla guerra, alla sconfitta, all’atomica. 


 

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Qui vogliamo citare, per affinità, le avventure a tema Yakuza della baby gang di P.P. Rider, di poco precedente al club del tifone (1983). E chiudiamo evocando la saga familiare Red Girls, romanzo di Kazuki Sakuraba uscito in Italia qualche anno fa, che ha protagoniste molto simili, e ci aiuta a inquadrare il flusso storico che influenza lo sguardo profondo e liquido del cinema di Sômai. E adesso aprite gli ombrelli: arriva la tempesta.


Voto: 3,5/5

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