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La morte corre sul fiume (The Night of the Hunter)



1955, 93min

di Charles Laughton

con Robert Mitchum, Shelley Winters e Peter Graves


Recensione di Sofia Magliozzo


Spoilerometro:



Cosa pensate possa succedere se, per pura coincidenza, un predicatore canaglia e assassino di vedove dovesse ritrovarsi a condividere la cella di una prigione con un giovane marito, condannato a morte, che ha nascosto in casa il bottino di un furto?

Le possibili conseguenze sembrerebbero non lasciare dubbi, ma ciò che realizza Charles Laughton, con il suo La morte corre sul fiume, è tutto tranne che prevedibile. Ed è proprio partendo da questa semplice coincidenza che Laughton tesse le fila del suo unico film da regista.

«Signore, le tue vie sono infinite: mi hai condotto in questa cella al momento giusto. C’è un uomo, con diecimila dollari nascosti da qualche parte ed una prossima vedova.».

Questa è l’invocazione che Harry Powell, interpretato da un vulcanico Robert Mitchum, declama inneggiando al cielo, con un coltello fra le mani tatuate di amore e odio, davanti la finestra sbarrata della cella nella quale è stato incarcerato per un banale furto d’auto.

Queste parole e la recitazione volutamente esagerata e sopra le righe di Robert Mitchum, sono il sostegno fondamentale al fanatismo religioso che è di certo uno degli elementi principali nonché uno dei protagonisti del racconto.

Il personaggio di Harry risulta, più una presenza spirituale malevola che un essere umano. In questo modo il film parrebbe avere più le caratteristiche di una fiaba che quelle narrative tipiche di un racconto.



Considerandolo dal punto di vista dei bambini, la morte corre sul fiume, potrebbe essere scambiato per film dell'orrore. Ma, in realtà, quello scelto da Laugthon è un linguaggio allegorico che fa sì che il film non possa essere identificato con un preciso genere cinematografico, perché, proprio come nella fiaba, il racconto procede per archetipi.

Gli assoluti protagonisti del film sono i bambini, ovvero i figli del condannato a morte e compagno di cella del predicatore, e di Wilia Harper, interpretata da Shelley Winters.

Loro sono e rappresentano l’ostacolo - elemento fondamentale di ogni fiaba che si rispetti - che Harry incontra lungo la sua strada. Pur essendo presenti scene in cui, agli occhi degli adulti, non manca un umorismo che quasi rasenta quello della commedia, guardando il film attraverso il prisma visivo dei piccoli John e Pearl è chiaro che il ritratto di Harry generi paura e sgomento dal momento che egli appare come un minaccioso assassino capace di trovarli ovunque fuggano.

Grazie alla magistrale fotografia di Stanley Cortez, il protagonista ci appare avvolto da una luce e da uno spazio definibili come claustrofobici. Cortez, già direttore della fotografia de “L’orgoglio degli Amberson”, il secondo film di Orson Welles, riesce a combinare terrore e favola nelle stesse sequenze sfruttando il contrasto fra ombre e luci, componente essenziale di questa struttura narrativa.



A trasformare il film che di per sé ha una trama piuttosto semplice e lineare -tratta dall’omonimo libro di David Grubb-, in un’opera d’arte, oltre all’avvincente performance degli attori, è il modo con cui Laughton ci consegna un racconto sospeso nel tempo, proprio come le fiabe, e intriso di immagini gotiche, irreali e surreali. Il mix di stranezza espressionista, morale cattolica e atmosfera terrificante innesca un cortocircuito visivo che genera nello spettatore un senso di inquietudine costante per tutta la durata del film.

L’uso di luci, ombre e silhouette oltre a delineare, in modo marcatamente manicheo, il personaggio di Harry, lasciando intendere che si tratti di un individuo molto più sinistro di un semplice assassino, altresì risulta indispensabile al fine di raccontare emotivamente la storia, recuperando immagini tipiche del cinema espressionista tedesco degli anni ’30.

In questo modo il risultato non può altro che essere quello di un mondo cupo e spaventoso, quasi da incubo, in cui l’oscurità soffocante avvolge ogni cosa, come nascendo dalla natura psicopatica del predicatore religioso.


 

Voto: 4.5/5

 

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