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La sera della prima (Opening night)

  • traumfabrikblog
  • 15 feb 2022
  • Tempo di lettura: 2 min

1977, 144 min.

di John Cassavetes

con Gena Rowlands, Ben Gazzara, John Cassavetes


Recensione di Luca La Russa


Spoilerometro:



Ritrovandosi per la quinta volta insieme nella realizzazione di un film, i coniugi Cassavetes e Rowlands mettono in scena la tormentata storia di Myrtle, una famosa attrice di teatro intenta a confrontarsi con la perdita della giovinezza. In difficoltà nel gestire il personaggio che dovrebbe interpretare, ovvero una donna di mezz’età alla deriva che si interroga sul proprio passato e futuro e dipendente da superalcolici, Myrtle vede amplificarsi i propri problemi nel momento in cui assiste a un incidente d’auto che costa la vita a una sua giovane ammiratrice. In seguito a ciò comincia a essere vittima di diverse allucinazioni in cui la giovane riappare proprio come un fantasma, e si lascia andare a una crisi sempre più profonda che porta ad episodi di violenza e nevrosi sempre più acute che faranno temere il peggio ai produttori dell’opera, ansiosi per l'imminente presentazione a Broadway.



L’operazione di carattere fortemente metatestuale orchestrata da Cassavetes è prima di tutto sicuramente un grandissimo omaggio alla dimensione della recitazione teatrale, la quale, in quest’opera, viene a sua volta rappresentata sul grande schermo causando un interessantissimo e intenzionale cortocircuito con lo svelarsi del mezzo cinematografico: basti pensare al gioco del montaggio tra le inquadrature che mostrano il punto di vista classico del pubblico rivolto agli attori sul palco e quelle dei successivi close up degli stessi, durante le scene a teatro.



Ci troviamo di fronte dunque a un raffinato meccanismo sviluppato su tre diversi piani di realtà (o finzione?): quello dell’opera che viene messa in scena e cioè del teatro, quello “reale” dei personaggi del film e quello delle visioni immaginate dalla protagonista. La triste storia di quest’ultima viene comunque raccontata in maniera appassionata e sincera nonostante la complessità insita nella costruzione, soprattutto per merito di Gena Rowlands, eccezionale nel ruolo cucitole addosso dal marito (a sua volta marito nel dramma a teatro), che scrive questo lungometraggio con l’intenzione di consacrare la sua sodale, e contemporaneamente di esaltare il fascino dei paradossi legati all’essenza stessa dell’atto della rappresentazione, interrogandosi e interrogandoci sull' autenticità nella recitazione e sulla finzione nelle relazioni reali.


Voto: 4/5


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