1988, 119min.
di Stephen Frears
con Glenn Close, John Malkovich, Michelle Pfeiffer, Uma Thurman, Keanu Reeves
Recensione di Valentina Corona
Spoilerometro:

Che il sentimento amoroso sia soggetto a precise regole dell’attrazione era chiaro ai più anche prima che la psicologia venisse riconosciuta come disciplina: la proverbiale ammissione che “in amore vince chi fugge” percorre diffusamente già la poesia d’amore greca e latina (di Ovidio è la massima «sfuggo ciò che mi insegue, inseguo ciò che mi sfugge») e finisce presto con l’assurgere allo status di vero e proprio topos letterario.
Quasi mille e ottocento anni più tardi Pierre-Ambroise-François Choderlos de Laclos, alle soglie della presa della Bastiglia, scrive Les liaisons dangereuses, romanzo epistolare incentrato sulle vicende sentimentali (e sessuali) di due esponenti della nobiltà francese settecentesca, la marchesa de Merteuil e il visconte di Valmont.
La marchesa e il visconte sono, entrambi, autentici libertini: privi di legami sentimentali stabili, i due passano di amante in amante, e loro stessi hanno avuto una relazione in passato.
La marchesa de Merteuil vuole vendicarsi del suo ex amante Gercourt, a cui sta per andare in sposa la giovane Cécile de Volanges. Il visconte di Valmont, dal suo lato, ha scelto come preda la casta e inarrivabile presidentessa di Tourvel, moglie di un uomo momentaneamente assente. I due incrociano così le rispettive mire, intessendo una fitta tela di inganni che coinvolge tutto il loro entourage: Valmont, da un lato, farà in modo che Cécile arrivi illibata al proprio matrimonio, spingendola tra le braccia del cavaliere Danceny e, dall’altro, cercherà di sedurre la presidentessa di Tourvel; la marchesa, dal canto suo, si concederà di nuovo a Valmont, ma solo a patto di ottenere dal visconte una prova scritta dell’avvenuta conquista della presidentessa.


Dalla definizione di questo accordo prende le mosse l’adattamento cinematografico di Stephen Frears del 1988, che sceglie i perfetti Glenn Close e John Malkovich per il ruolo di protagonisti e si affida alla sceneggiatura fedele di Christopher Hampton, premiata con l’Oscar nel 1989 – dell’opera di Laclos il portoghese aveva tratto un’opera teatrale solo due anni prima. La versione di Frears-Hampton appare a tutti gli effetti filologicamente rigorosa: il testo di Laclos viene talvolta ripreso quasi alla lettera; curatissimi le scenografie e i costumi (a entrambi venne tributata la statuetta dell’Academy nel 1989) che restituiscono modi e luoghi dell’aristocrazia francese del Settecento; la parola, infine, è vero motore dell’azione, così come lo era negli scambi epistolari di cui il romanzo si compone.

Se Laclos, tuttavia, si era affacciato alla propria creazione con un intento moralista, facendo della marchesa de Merteuil e del visconte di Valmont l’incarnazione della corruzione sentimentale del proprio tempo nella speranza che il lettore ne evitasse i comportamenti, lo sguardo de Le relazioni pericolose vira sull’autentica introspezione psicologica, suggerendo che “gli uomini sono sempre uomini”, a dispetto di quanto la distanza nel tempo ce li faccia percepire diversi. E “uomini” pure nel senso di “maschi”: le donne di Frears, anche quando non lo sembrano, sono sempre soggette all’altro sesso, che le manipola e le sfrutta per il proprio piacere; persino la marchesa de Merteuil, che di tutte le trame è perfetta orditrice, confessa di essere stata costretta ad aguzzare l’ingegno in un mondo di uomini pensato per gli uomini, avendo imparato con abilità a nascondere il proprio fuoco dietro la compostezza a cui la società l’aveva costretta.
In buona sostanza, i personaggi della trasposizione cinematografica somigliano incredibilmente allo spettatore che li osserva, e come lui sono mossi dal desiderio sessuale, dallo spirito di risarcimento, dagli effetti del contrasto che separa il loro volere profondo dalle aspettative sociali in cui sono immersi. Da che mondo è mondo – pare dedursi – gli esseri umani inseguono chi li respinge e rifiutano chi concede loro il proprio affetto sincero. E nel giudicare questo gioco pericoloso il capolavoro di Frears non può che concordare con le conclusioni di Laclos: a farne le spese sono tutti i giocatori, illusi che la corsa all’inseguimento della vanità possa sostituirsi alla ricerca di una felicità duratura.

Voto: 4/5
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