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Nosferatu

2024, 132 min.

di Robert Eggers

con Lily-Rose Depp, Bill Skarsgard, Nicolas Hoult, Willem Dafoe, Aaron Taylor-Johnson


Recensione di Francesco Mosca


Spoilerometro:




Robert Eggers torna nelle sale di tutto il mondo con Nosferatu, un'opera che riesce a omaggiare il capolavoro muto del 1922 di F.W. Murnau reinventandolo con lo stile unico e potente tipico del regista newyorkese. Con la sua regia meticolosa, Eggers ci trasporta in un mondo gotico, oscuro e visceralmente affascinante e dimostra ancora una volta la sua abilità nel creare ambientazioni immersive e storicamente accurate, come aveva già fatto in pellicole come The VVitch (2015) e The Northman (2022), di cui riprende anche i toni scuri grazie all’uso preponderante della luce naturale. Il suo Nosferatu non è un semplice remake, ma una vera e propria reinterpretazione che esplora più in profondità i temi già messi in scena da Murnau pur rispettando lo spirito dell'originale. 



La fotografia declinata sui toni del blu, del grigio e del nero è caratterizzata da giochi di luce e ombra che richiamano il cinema espressionista tedesco, e dona a tutto il film un'atmosfera inquietante e malinconica che si sposa perfettamente con la regia di Eggers. Il regista costruisce con minuzia di particolari ogni fotogramma del film, ponendo spesso il soggetto al centro dell’inquadratura e giocando con la simmetria dell’immagine. Il contributo del cast non è da meno, con Bill Skarsgard che offre una performance straordinaria nei panni del Conte Orlok, il cui look richiama fedelmente la descrizione del vampiro fatta da Bram Stoker nel Dracula letterario e, soprattutto, con la grandissima interpretazione di Lily-Rose Depp, ormai elevata al rango di stella. Oltre ai due protagonisti non sfigura il resto del cast che trova in Dafoe e Hoult due comprimari perfetti.



Eggers utilizza il mito del vampiro per esplorare tematiche universali come la paura dell'ignoto, l'ossessione e l’angoscia. Inoltre svuota la figura di ogni aspetto romantico e la riporta alla sua dimensione letteraria originale, quella di mostro assetato di sangue e portatore di follia, pestilenza e infine morte. Addirittura Eggers va oltre il Dracula di Stoker, attingendo direttamente dal cuore della tradizione vampiresca dell’Europa centro-orientale, di cui la scena notturna del rito compiuto dagli zingari è la rappresentazione più evidente (1). Questi aspetti diventano sempre più evidenti con lo sviluppo del film, tutti coloro che entrano in contatto con il mostro precipitano in vortice di orrore primordiale e atavico. L’uomo contemporaneo non può affrontare e superare il terrore per la natura e l’ignoto senza precipitare nel dolore e nella follia. Anzi dolore, follia e morte sono come una pestilenza diffusa dal vampiro prima da individuo a individuo (dall’immobiliarista Knock al dipendente Hutter, attraverso l’incarico) e poi dall’individuo alla comunità (dalla protagonista Ellen alla famiglia Harding) e infine a tutta la città di Wisborg. La purificazione da questo orrore atavico non può arrivare attraverso la lotta o attraverso l’uso della ragione ma solo attraverso il sacrificio spontaneo. Solo attraverso il proprio olocausto volontario Ellen potrà purificare la città da questo male; in tal senso appare simbolica la fine del mostro con il sole che, finalmente, pone fine alle tenebre e diventa vero e proprio fuoco purificatore. 


Questo simbolismo stratificato è presente in tutto l’arco della pellicola intrecciandosi alla narrazione orribile e tragica delle vicende dei protagonisti. Ogni scena sembra portare con sé un messaggio più profondo, precipitando i personaggi e lo spettatore in un vortice di angoscia opprimente e irrisolvibile. Nemmeno il sacrificio volontario di Ellen può salvare e purificare coloro che sono entrati a contatto diretto con il male, non c’è salvezza per lei né per suo marito o per chi è stato a stretto contatto con loro. La salvezza arriva solo per chi è stato lambito dal male in modo inconsapevole e marginale, chi ne è stato investito in pieno non può più salvare sé stesso. 


Dal punto di vista tecnico, il film è impeccabile. La colonna sonora, con i suoi toni dissonanti e ipnotici, amplifica l'atmosfera onirica e sinistra, amplificando la sensazione di angoscia dello spettatore. Inoltre va menzionato il lavoro certosino fatto da Eggers con le lingue straniere: nel film sono presenti diversi idiomi (anche morti) che il cineasta ha portato in scena alla perfezione. Il conte Orlok parla un antico dialetto dacico con contaminazioni latine, gli zingari una lingua rom, i marinai parlano russo e i protagonisti in tedesco. Questo rende alla perfezione la stratificazione geografica e temporale dell’Europa di inizio ‘800. La scenografia e i costumi sono curati nei minimi dettagli, trasportando il pubblico in un’epoca lontana ma incredibilmente viva.


Nosferatu di Robert Eggers è un’esperienza cinematografica straordinaria, un viaggio viscerale nel cuore dell’oscurità. Con una regia audace, interpretazioni memorabili e una visione artistica unica, il film si afferma come uno dei migliori remake contemporanei, sebbene vada molto oltre il concetto stesso di remake. Non è solo un omaggio a Murnau, ma una celebrazione del potere del cinema di raccontare storie senza tempo.


  1. vedi AA.VV., Draculea. Racconti e documenti di veri o presunti atti di Vampirismo, ABEditore (2020).


Voto 5/5

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