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Ombre rosse (Stagecoach)


1939; 96 minuti

di John Ford

con Claire Trevor, John Wayne, Thomas Mitchell


Recensione di Francesco Mosca


Spoilerometro:



Gli spazi immensi del continente americano, i duelli combattuti sotto il sole cocente o nei saloon, le battaglie contro spietate tribù di pellerossa; sono solo alcuni dei topoi più caratteristici del cinema western, uno dei generi più amati (e odiati) del Novecento, specialmente in U.S.A. e in Italia, paesi in cui questo filone più che in altri ha trovato un enorme successo.

L’immensa fortuna del genere è, in gran parte dovuta a John Ford, leggendario cineasta americano che ha avuto un impatto fondamentale su tutta l’industria cinematografica successiva - basti pensare alle cinque candidature alla miglior regia con quattro statuette vinte, caso unico fino ad oggi. Nonostante la sua vastissima filmografia abbracci vari temi, è proprio nel genere western che si colloca la maggior parte dei lavori di Ford.



Tra i suoi lungometraggi Ombre rosse è considerato non solo uno dei migliori girati dal regista, ma anche una pellicola chiave sia per l’influenza che ha avuto sul cosiddetto “Western classico” sia perché ha lanciato la leggenda di John Wayne. Il film è l’adattamento di un racconto che vede nove personaggi totalmente diversi per estrazione sociale - il burbero ma simpatico postiglione, lo sceriffo dalla morale inflessibile, la prostituta reietta, il dottore ubriacone, il timido ma coraggioso venditore di alcolici, il cowboy evaso di prigione, la rigida moglie di un ufficiale e il banchiere avido e corrotto - costretti dalle circostanze ad intraprendere, tutti insieme, un viaggio in diligenza tra le città di Tonto e Lordsburg, minacciati dai terribili Apache di Geronimo.



Ford gioca continuamente con il passaggio tra ambienti chiusi stretti e claustrofobici (l’interno della diligenza, la locanda ad Apache Wells, il saloon a Lordsburg) e gli immensi spazi aperti del west, tra cui si segnala in particolare la “Monument valley” divenuta ambientazione per antonomasia dell’immaginario western collettivo. Notevole anche la gestione della tensione, con il pericolo rappresentato dagli indiani dapprima vago e invisibile che diventa crescente e incalzante fino a culminare nella leggendaria scena dell’inseguimento della diligenza (citata da Spielberg in Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta) vero momento di apice del film.

Dopo l’arrivo a Lordsburg la sceneggiatura si sofferma su Dallas, Ringo e sul loro amore nato durante il viaggio; entrambi sono consapevoli che solo fuggendo insieme possono sottrarsi agli schemi sociali e ai pregiudizi di cui sono vittime - la scena della cena ad Apache Wells è emblematica in tal senso. Nello spaccato sociale rappresentato da Ford i personaggi ai margini sono gli eroi della storia, tali per via delle loro azioni, a differenza dei personaggi “rispettabili” che si rivelano meschini e superficiali nei giudizi espressi nei confronti dei loro compagni di viaggio; saranno proprio i reietti a dare il più grande contributo alla salvezza dei membri del gruppo.



Nonostante abbia superato gli ottant’anni dalla sua uscita, Ombre rosse è un film notevolmente moderno ancora oggi. L’opera si configura come un vero e proprio pilastro non solo del genere western ma anche della cinematografia moderna, e merita di essere visto ancora oggi. Menzione negativa per l’edizione italiana del film, risalente agli anni ’50, il cui doppiaggio non valorizza la pellicola specialmente per quanto riguarda l’adattamento dei nomi di battesimo dei personaggi che sono stati italianizzati.

 

Voto: 4/5

 

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