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Oscar 2022: Miglior Film

di Mauro Azzolini


Diventata dal 2010, con l’ampliamento a dieci titoli, la più “ingombrante”, quella dei candidati a miglior film è certamente la categoria capace di destare maggiore interesse dalla nascita degli Academy Awards. Il premio, spesso strettamente collegato a quello per la migliore regia (le statistiche dicono che due volte su tre le due statuette sono state assegnate alla stessa opera), viene, però, di norma consegnato al produttore del film.

La rosa di titoli individuata quest’anno raccoglie il meglio di quanto prodotto dal cinema americano ed estero nel 2021, ma vive della drammatica assenza di almeno due o tre pellicole. Non si capisce infatti come possano essere stati esclusi dalle nomination The tragedy of Macbeth di Joel Coen, già in gara per i premi alla fotografia, alla scenografia e al miglior attore protagonista (D. Washington), Spencer di Pablo Larraín (che vede la sola Kristen Stewart in gara come migliore attrice), The French Dispatch di Wes Anderson o ancora The green knight di David Lowery. Fatta questa dovuta premessa ecco in ordine, dal meno apprezzato a quello che ci si auspica possa uscire vincitore, i dieci titoli in gara nel 2022:



10

West side story

di Steven Spielberg


Pessimo da ogni punto di vista. La fotografia è da orrore, la recitazione di questi ballerini prestati al cinema, imbarazzante. Spielberg si conferma autore ormai poco ispirato e rassegnato a un uso mediocre dei mezzi imponenti a disposizione. La scenografia, che pure tanta parte dovrebbe giocare in questa storia in cui i rapporti sociali sono determinati dallo spazio in cui si vive e da come lo si occupa, appare posticcia senza che questo possa essere ricondotto ad una scelta artistica. Di tutto il film si salva soltanto qualche movimento di macchina (su tutti il piano sequenza iniziale). Come la maggior parte dei titoli in gara, infine, ha una durata eccessiva.


Voto: 1.5/5




9

Don’t look up

di Adam McKay


L’idea di utilizzare la commedia per trasmettere un messaggio a un pubblico quanto più ampio possibile non è sbagliata, né nuova. Il problema, però, è che per portarla fino in fondo bisogna operare delle scelte e provare a rispettarle con coerenza. Il film di McKay realizza tanti dei compromessi necessari, ma lascia trasparire una certa insofferenza; continuamente appaiono vie di fuga, percorsi differenti che il tono potrebbe prendere (es. il segretario ultra- macchiettistico, già ampiamente sul registro comico, o le scene finali costruite sul registro drammatico). Tecnicamente non eccezionale ha però il pregio di avere un buon ritmo e di saperlo mantenere. Buone le performances degli attori, discreti gli effetti visivi (per quanto se ne possa apprezzare in un film che non esce in sala, ma solamente su piattaforma streaming).


Voto 2.5/5




8

King Richard - Una famiglia vincente

di Reinaldo Marcus Green


L’interpretazione di Will Smith certamente superiore alle aspettative, ma non abbastanza da potergli valere la statuetta come miglior attore, è forse il pregio principale di questo film. Leggermente disorganico dal punto di vista della scrittura, pone l’attenzione su un lasso di tempo ridotto (gli anni dell’adolescenza delle sorelle Williams) dilatandolo quanto basta per dimostrare allo spettatore in modo intelligente che non è necessario mostrare anche il successo delle due celebri sportive. Sarebbe stato utile, ai fini dell’operazione, mostrare in che modo questo personaggio discusso sia riuscito a gestire, da un punto di vista intimo, il rapporto tra le figlie. Buona la fotografia, buono l’uso di brani non originali, contrariamente ad una colonna sonora originale un po’ didascalica.


Voto: 3/5




7

Licorice pizza

di Paul Thomas Anderson


La forma va bene, è la sostanza che non convince. Legittima l’intenzione di Anderson di voler raccontare una normale e complessa - o complessa proprio perché normale - storia d’amore tra ragazzi ambientata a Los Angeles, dove per antonomasia si collocano i sogni e non le storie normali. Ma l’intreccio è troppo debole e il prodotto finale assomiglia di più alla giustapposizione di capitoli a caso aventi gli stessi protagonisti che non ad una trama organica e razionalmente articolata. Peccato, perché la fotografia non è male e ogni elemento è inserito con attenzione, eccezion fatta per la fantastica colonna sonora usata spesso a sproposito.


Voto: 3/5




6

Il potere del cane

di Jane Campion


Girato con cura ed eleganza, il film è prima di tutto un’esperienza estetica che Campion mette in piedi attraverso una fotografia accattivante e movimenti di macchina lenti e ben costruiti dal punto di vista geometrico. La storia, forse, non è delle più interessanti ed è un po’ asimmetrica nel suo dipanarsi (resta un mistero, ad esempio, la ragione per cui da un momento all’altro si inverta la natura dei rapporti tra i personaggi). Su tutte le interpretazioni spicca quella di Kirsten Dunst, unico personaggio a scontrarsi con un mondo di soli uomini in cui anche le donne sono portatrici di un approccio violento e maschilista. Vale qui quanto detto in precedenza rispetto alla durata eccessiva.


Voto: 3/5




5

Belfast

di Kenneth Branagh


Nonostante oggi quella di girare in bianco e nero sia una scelta in controtendenza, essa non è di per sé sufficiente a trasformare un film in un’opera sorprendente. Questo semplice assioma trova riscontro nel lavoro di Branagh che, sullo sfondo delle tensioni sociali nordirlandesi di fine anni ’60, vede articolarsi le vicende privati di una famiglia: dinamiche ordinarie, a tratti banali, in un contesto straordinariamente drammatico. La percezione che ne ha lo spettatore è quella di essere catapultato in un tessuto di relazioni che non conosce e rispetto alle quali non trova elementi utili alla comprensione. A salvare il tutto intervengono, fortunatamente, le performances di Jamie Dornan e Catríona Balfe, ingiustamente esclusi dalle nomination per premi ai migliori attori protagonisti.


Voto: 3/5




4

CODA - I segni del cuore

di Sian Heder


È possibile fare un film sulle disabilità e sul disagio che esse causano non solo a chi le vive ma anche, eventualmente, nei contesti sociali e familiari nei quali si trovano coloro che ne sono portatori? La posta in gioco nella risposta a tale domanda è certamente alta, ma si può affermare che questo riadattamento di La famiglia Bélier sia ampiamente riuscito nell’intento. Partendo dalla scelta di tre interpreti effettivamente sordomuti, Heder non ricorre a mezzi stucchevoli e non prova a portare chi guarda ad empatizzare o ad avere pietà, ma sa far ridere ponendo l’intero racconto su un piano di assoluta normalità. Non scade mai nel comico e non annoia grazie ad un uso sapiente dei mezzi a disposizione.


Voto 3.5/5




3

Dune

di Denis Villeneuve


Sorprendente e straordinario nella prima metà, da ogni punto di vista: la scelta dei colori, gli effetti visivi, il sonoro esplosivo e avvolgente. Villneuve trova con furbizia i mezzi necessari a rendere accattivante una storia non nota a un pubblico più giovane. Peccato, però, che si perda nell’eccessiva durata e nell’inconsistente approfondimento psicologico dei personaggi. Troppo lunga per un film, troppo breve per una serie tv, la storia si dilata e si perde, diventa insostenibile anche per un racconto di fantascienza. Si allarga però solo per una ragione commerciale, che è quella di collocare la trama su due uscite. Produzione gigantesca che merita comunque di essere premiata.


Voto 3.5/5




2

La fiera delle illusioni – Nightmare Alley

di Guillermo Del Toro


Il mondo raccontato da Del Toro continua ad essere sul confine tra realtà e magia. Qui la magia e l’illusione si mostrano, però, nella loro realtà, ossia nel loro aspetto di opzioni utilizzate dagli uomini per ingannare ed incastrare altri uomini. Il protagonista che crede di poter nascondere la sua vera natura (la sua storia) si troverà a farci i conti perché nessuno può scappare al proprio destino. La fotografia è davvero sorprendente e capace di mescolare le atmosfere cupe con i toni accesi di alcuni momenti o di alcuni personaggi. Curatissimi i costumi e la scenografia, interessanti i movimenti di macchina. Inspiegabile l’assenza di Cate Blanchett dalle nomination per miglior attrice protagonista.


Voto 3.5/5




1

Drive my car

di Ryūsuke Hamaguchi


Sarebbe ora di abolire definitivamente l’ormai superata (nei fatti) divisione tra premio per il miglior film e quello per il “miglior film internazionale”. Così come accade per tutte le altre categorie in gara e così come riconosciuto dall’inclusione di titoli stranieri nella batteria delle nomination non è, infatti, possibile limitare ai confini linguistici del mondo anglofono la scelta del vincitore. Il film di Hamaguchi, pur non essendo perfetto, è superiore agli altri in gara da ogni punto di vista: sceneggiatura (adattata da un racconto di Haruki Murakami), regia, fotografia, montaggio. Una storia non semplice, lontana dalla quotidianità di chi guarda - ma al contempo comune - inserita in un orizzonte visivo algido dove i toni grigi dell’universo glaciale che circonda i personaggi entrano in contrasto, forse in modo didascalico, con il rosso acceso dell’automobile dove riescono esprimere se stessi. Non un capolavoro, ma certamente al netto dei grandi assenti, la migliore opera in concorso.


Voto: 4/5


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