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Persona

1966, 86 min.

di Ingmar Bergman

con Bibi Andersson e Liv Ullman


Recensione di Laura Caviglia


Spoilerometro



Nella prima metà degli anni Sessanta il regista e drammaturgo Ingmar Bergman, reduce da una profonda depressione, si ritirò a vivere nella desolata isola di Faro, nel Baltico. A questo periodo risale la stesura dell’opera “Persona”, un film scarno, in bianco e nero, la cui ambientazione si divide tra le sale di un ospedale e gli spazi di un’isola deserta.


Tema focale del lungometraggio è il rapporto con l’altro come strumento per rapportarsi a se stessi. All’interno del film l’altro, in quanto rappresentazione della volontà del mondo, da strumento diviene un intralcio contro cui scontrarsi. Si tratta di un’opera esistenzialista per la cui analisi, in questa sede, si vuole ricorrere a Sartre.


Cominciamo da un assunto: se l’inferno sono gli altri, l’inferno è dato dall’abisso esistente tra ciò che un individuo è, nelle sue infinite sfaccettature, e la persona che invece è tenuto più o meno consapevolmente a rappresentare davanti agli altri e alla società. La persona è dunque una maschera, un’entità multipla, universale. Di questa maschera l’attrice Elisabeth acquisisce consapevolezza in una risata, e per questo sceglie di negarsi al mondo, scivolando nel mutismo. Alma, un’infermiera, deve accompagnare Elisabeth, sua paziente, nel percorso di riconciliazione con le aspettative sociali.

Il singolo, di cui Elisabeth diviene rappresentante, è portato alla costruzione di un proprio Io in un mondo che guarda all’individuo scegliendo a priori il significato di ciò che vede. L’Io in quanto tale resta qualcosa di assolutamente sottile e malleabile. Per questo motivo le personalità delle due protagoniste finiranno per sovrapporsi e annullarsi l’una nell’altra man mano che il lungometraggio va avanti.




Momento tra i più salienti dell’opera è quello della confessione che Alma fa ad Elisabeth, un flusso di coscienza che sfocia nel pianto correlato a vergogna ed autocommiserazione. Di vergogna Sartre parla nel paragrafo “L’esistenza d’altri” de L’Essere e il Nulla, scrivendo: «La vergogna nella sua struttura primaria è vergogna di fronte a qualcuno […]. Ho vergogna di me stesso quale appaio all’altro». Ma l’esistenza di un sentimento di vergogna oltre allo sguardo altrui presuppone certamente dei costumi sociali infranti. Durante la confessione di Alma, l’altro incarnato da Elisabeth è un mezzo tramite cui redimersi, un prete che assolve.

La scelta di Alma di mostrare la propria vergogna, quindi, distacca Elisabeth dal resto del mondo. A seguito di questa confessione Elisabeth, per la prima volta, rivolgerà ad Alma poche parole, quando quest’ultima dorme o è inebriata dall’alcol, momenti in cui non teme il suo Io sottile, venute meno le difese di quello che, utilizzando il lessico della psicanalisi, potremmo facilmente definire Super-Io.

Dunque un interesse per l’inconscio come luogo consono ad una forma di comunicazione libera da costrutti esterni, interesse che il regista mostra già nelle scene di apertura: un violento scorrere di immagini casuali, dadaiste, evocative.


Una delle recensioni più importanti di Persona fu scritta da Alberto Moravia, il quale descrisse la storia come un rapporto omosessuale tra una personalità debole (Alma) ed una forte (Elisabeth). Per Sartre il senso originario dell’essere-per-altri è il conflitto, e l’amore è conflitto in quanto processo in cui si vuole “imprigionare” la coscienza e la libertà dell’altro, senza che ciò comporti un asservimento della persona amata. In quest’ottica l’innamorato pretende che l’oggetto del proprio amore liberamente aderisca al cedere coscienza e libertà.

Si delinea così l’atteggiamento del masochista (Alma) e quello del sadico (Elisabeth). Il masochista vuole che la sua soggettività venga assorbita dall’altro ed il suo fine principale è quello della sconfitta. Il sadico vuole essere per l’altro “trascendenza pura”, il suo scopo è di denudare l’altro, di scoprirne la fatticità sotto l’azione.

A un dato punto della trama, anche in virtù del processo di fusione tra le due personalità, questi ruoli si invertiranno. Il ribaltamento si delinea nello scontro fisico tra le due protagoniste che sfocia nell’esclamazione che Elisabeth rivolge ad Alma: “Sei pazza?”. Minacciata dall’acqua bollente, impaurita dall’idea dell’ustione, Elisabeth si lascia sfuggire queste parole, il suo voto e la sua ribellione vengono meno, la donna si riscopre come carne sotto l’azione. “Hai avuto paura”, dirà Alma, che da qui in poi sarà la personalità forte, mettendo a nudo la sua controparte, smascherandola di ogni suo crimine, giudicandola e distaccandosene psicologicamente.


 

Voto: 5/5

 


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