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Smoke


1995, 100min.

di Wayne Wang, Paul Auster

con William Hurt, Harvey Keitel, Forest Whitaker


Recensione di Luca La Russa


Spoilerometro:



Premiato col prestigioso Orso d’argento al festival di Berlino nel 1995, questo film (forse non abbastanza ricordato) è la dimostrazione di come il sapiente controllo della sceneggiatura da parte di un autore di talento, coadiuvata da una regia mirata ed essenziale, possa realmente fare la differenza, in particolare quando parliamo di opere che mirano a scandagliare la complessità delle emozioni e dei rapporti umani, dove spesso il pericolo di scadere in facili cliché o patemi artificiosi è dietro l’angolo.

Smoke è infatti frutto della collaborazione tra il regista cinese-americano Wayne Wang e lo scrittore Paul Auster che, oltre ad esordire alla sceneggiatura, co-dirige la pellicola, nelle quale mette letteralmente tutto se stesso: uno dei protagonisti è proprio uno scrittore di nome Paul (interpretato dal compianto Hurt) che cerca di superare la perdita della moglie e il blocco creativo, andando e venendo dalla tabaccheria del grande amico Auggie (uno straordinario Keitel), situata a Brooklyn nella città di New York (la stessa a cui Auster dedica la sua famosa Trilogia) e di fatto protagonista anch'essa, a pari livello con l’onnipresente fumo di sigari e sigarette che non viene solo mostrato ma spesso citato ed esaltato nei dialoghi dei personaggi stessi.



Proprio la gestione dei dialoghi è un aspetto decisivo della forza del film, che vanta orgogliosamente la partecipazione di attori eccezionali, su tutti Harvey Keitel: nelle numerose scene in cui il suo Auggie (cucitogli magistralmente addosso dall’autore) è ripreso in primo piano assistiamo a una performance in cui ogni parola e ogni piccola variazione del suo ghigno, allo stesso tempo furbetto e malinconico, pesa più di mille tonnellate. Il momento del suo racconto di un insolito Natale (decisivo nell’aiuto al sofferente Paul, reduce da diverse peripezie che costituiscono l’intreccio e l’azione del film) è assolutamente da storia del cinema.



Questa e altre scene di simile caratura, come gli aneddoti di Paul o i momenti più tragici, sapientemente bilanciate da una notevole ironia, suggeriscono inevitabilmente allo spettatore (a cui si raccomanda la visione della versione originale) una riflessione sul potere della parola e del racconto e, conseguentemente, sul rapporto con le proprie memorie e i propri traumi. Sicuramente è tema centrale di Smoke l’elaborazione del lutto, o più in generale il processo di convivenza con le numerose ferite e cicatrici (nel film figurate e non) che tormentano i personaggi. La grandezza dell’opera sta proprio nel riuscire ad affrontare il tutto in un difficilissimo equilibrio tra la durezza della tragedia e la spiazzante dolcezza da cui lo spettatore, costretto a guardarsi allo specchio, non può che lasciarsi investire.


Voto: 4/5

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