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Sussurri e grida (Viskningar och rop)

1972, 91min.

di Ingmar Bergman

con Harriet Andersson, Liv Ullmann, Ingrid Thulin


Recensione di Giovanni Comazzetto


Spoilerometro:



«Quattro donne vestite di bianco in una stanza rossa» (1): così Bergman descrive l’immagine che lo ha ossessionato per diverso tempo, finché non è riuscito a porla alla base di un film. In Sussurri e grida Agnes, che soffre da tempo di un male incurabile, è raggiunta dalle sorelle Karin e Maria, che se ne prendono cura insieme alla domestica Anna. Il racconto dell’agonia e della morte della donna si innesta in una successione di flashback e monologhi interiori, dai quali emerge il contrasto tra l’immaginario di Agnes, condensato nel suo diario, e una trama di rapporti familiari e sociali basati sull’inganno e la reticenza.



Una persona muore, ma «si impiglia a mezza strada in qualcosa, come in un incubo, e chiede tenerezza, esonero, liberazione» (2). Il movimento della morte disvela la realtà delle relazioni tra le sorelle: mentre Agnes crede che la ricomposizione degli affetti corrisponda a legami autentici, ad accompagnarla alla morte è in verità solo la domestica Anna, che ha da poco perso la figlia ed è sostenuta da una incrollabile fede in Dio. I racconti del passato delle altre due sorelle, per contro, ne portano alla luce miserie e sofferenze, senza spiragli di redenzione: Maria, superficiale e indifferente, tradisce il marito con il medico che assiste la sorella; Karin arriva ad autoinfliggersi ferite pur di non avere rapporti con l’uomo anziano che ha sposato, convinta che la vita non sia altro che un «insieme di bugie».



Proprio l’evoluzione del rapporto tra Maria e Karin mette in scena l’abisso della relazione con l’altro. Dopo che Karin ha spietatamente messo a nudo la superficialità e falsità della sorella, le due sembrano riconciliarsi e trovare finalmente un “sentire comune” (incarnato in abbracci e carezze che colmano la distanza, emotiva e fisica, che contraddistingue il personaggio di Karin). La parte finale del film smentisce questo riavvicinamento: sia nella realtà, sia nell’allucinazione sulla “non-morte” di Agnes, le due sorelle abbandonano rapidamente la casa di famiglia, e si congedano con freddezza.



Le scelte cromatiche sono strettamente connesse ai temi del film: molte sono le dissolvenze in rosso (il colore dominante nella residenza di Agnes, che per Bergman rappresenta l’intimità, i legami di sangue, la «parte interna dell’anima»), mentre i colori degli abiti sono il bianco (nella prima parte del film) e il nero (nella seconda parte). L’uso pittorico del colore e l’intreccio luci/ombre hanno un effetto derealizzante, che culmina nella scena in cui il delicato abbraccio tra Anna e Agnes richiama la Pietà michelangiolesca.


(1) Bergman I., Immagini, Garzanti (1992).


(2) Ibidem.


Voto: 5/5



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