1991, 129min.
di Jim Jarmusch
con Roberto Benigni, Gena Rowlands, Winona Ryder, Giancarlo Esposito, Armin Mueller-Stahl
Recensione di Sofia Magliozzo
Spoilerometro:

Costruito a episodi, come fosse un libro di racconti, Taxisti di notte è, a ben vedere, un insieme di cinque cortometraggi uniti da due fili rossi: il taxi come spazio e innesco di narrazione e la grande città come contesto di vitale disperazione in cui gli eventi mondani acquisiscono un significato sempre più alto e diventano pezzi di un enigmatico puzzle. La reale protagonista, la notte, è la massima rappresentazione della condizione di solitudine e di tristezza dell’esistenza umana, mentre i cinque taxisti attorno ai quali ruotano le vicende del film, sono degli antieroi avvolti dalle loro seducenti miserie e condannati alle loro fortunate mediocrità.
L’episodio di Los Angeles vede una stressata, ma in carriera, agente cinematografica di Hollywood, Victoria (G. Rowlands) su un taxi guidato da una giovane ed appariscente Corky (W. Ryder) e scorre fluidamente sul binario di un rapporto che rimanda facilmente a quello tra madre e figlia. Il regista esalta le differenze anagrafiche, sociali e culturali fra le due protagoniste e, sfruttando il potente strumento della comunicazione, a tratti non verbale, rivela quanto Corky sia un’irragionevole ma pragmatica sognatrice, tipica della sua generazione.

Il secondo episodio, ambientato a New York, ha come protagonista Helmut (A. Mueller-Stahl), un ex circense immigrato dalla Germania dell’ovest, nei panni dell’unico taxista disposto a concedere un passaggio a Yoyo (G. Esposito). La dinamica che si instaura fra i due personaggi ne esalta le divergenze: Helmut si mostra teneramente incompetente e con un senso di meraviglia di stampo infantile e Yoyo appare invece il classico nero di Brooklyn esuberante ed eccessivo. A sconvolgere le già frizzanti dinamiche tra i due è la cognata di Yoyo, Angela (R. Perez), quando viene trascinata all’interno del taxi.
Approdando a Parigi, si incontra un burbero autista natio della Costa d'Avorio (I. de Bankolé) che, dopo aver avuto una sgradevole disavventura con due camerunesi, è intento a far salire a bordo una donna cieca (B. Dalle) che reagisce in modo pungente ai suoi goffi tentativi di relazionarsi con lei ponendole delle domande sulla propria cecità. Jarmush, eccedendo di ironia, conclude l’episodio con un finale che vede la donna cieca passeggiare serenamente sulle sponde della Senna mentre il taxista è responsabile di un sinistro automobilistico.
Nel penultimo episodio, un eccentrico depravato taxista (R. Benigni), sempre al confine tra curioso e insopportabile, guida per più di cinque minuti da solo, tra le strade di Roma che ne fanno da cornice. La storia inizia quando sale a bordo, anche se con non poche difficoltà, un prete che viene sconvolto dal monologo del taxista sulle sue esperienze sessuali zampillanti di adulterio e zooerastia, fino ad accusare un infarto e decedere.
Taxisti di notte, iniziato nella profonda notte di Los Angeles, termina ad Helsinki, durante le prime ore del mattino. Mika, il taxista protagonista, (M. Pellonpää) recupera tre uomini ubriachi uno dei quali senza dubbio incosciente, all’uscita di un bar. Due di loro, compatendo il terzo, che ha vissuto il suo “peggior giorno di sempre”, rimangono freddamente colpiti dal racconto di Mika del suo “peggior giorno di sempre”. L’interazione tra il taxista e i due ubriachi rende memorabile tutto il lavoro di Jarmush capace di mostrare quanto possa essere ingannevole la superficie del presente.

Attraversando fusi orari, continenti e culture, Taxisti di notte, riesce a snodarsi attraverso scene di comicità e di ironia, di poesia e di fatalismo, e a descrivere il paesaggio decadente
dell'Occidente attraverso il disagio inconsapevole dei suoi abitanti, con una lucidità cinica e ironica, quasi con freddezza.
Voto: 4/5
Comments