Testimone d’accusa (Witness for the Prosecution)
- traumfabrikblog
- 3 dic 2021
- Tempo di lettura: 3 min
1957, 114min.
di Billy Wilder
con Marlene Dietrich, Tyrone Power, Charles Laughton, Elsa Lanchester
Recensione di Laura Caviglia
Spoilerometro:

Billy Wilder, uno dei migliori registi e sceneggiatori americani di tutti i tempi, che prima di dedicarsi alla scrittura e alla sceneggiatura studiò legge in gioventù, nel 1957 regalò al pubblico e ai posteri una trasposizione cinematografica di Testimone d’accusa, racconto e pièce teatrale di Agatha Christie, scrittrice che non ha bisogno di presentazioni. La stessa Christie definirà il lavoro di Wilder come il miglior adattamento mai realizzato di una sua opera.
Il film si apre in medias res con un’inquadratura che abbraccia l’intera aula di un tribunale ed il pubblico presente, per zoomare lentamente sui giudici e su uno stemma sul quale è inciso il motto del Sovrano del Regno Unito “Dieu et mon droit”, Dio e il mio diritto. Questa trionfale apertura si richiuderà ad anello per riavvolgere il racconto e presentare i personaggi che di fronte a Dio, alla patria e alla società, avranno di che attaccare e difendersi.
Sir Wilfrid Robarts (Charles Laughton), uno dei migliori penalisti in circolazione, anziano ed in sovrappeso nonché dipendente estimatore di brandy e sigari, reduce da un freschissimo attacco cardiaco, viene rimandato a casa dall’ospedale a causa della sua condotta immorale, non consona all’ambiente della clinica. Sir Wilfrid è accompagnato, assistito ed asfissiato dalla pedante e petulante infermiera Miss Plimsoll (Elsa Lanchester), e la contrapposizione tra queste due personalità sarà alla base di una comicità da copione teatrale particolarmente presente nella prima parte del lungometraggio.
Nonostante la ripromessa del riposo, il vizioso e brillante avvocato non tarderà ad accettare un caso più che macabro, praticamente disperato: la difesa di Leonard Vole (Tyrone Power) accusato dell’assassinio della ricca Mrs French (Norma Varden). Tutti gli indizi iniziali lascerebbero infatti presuppore una sicura implicazione di Mr Vole nell’omicidio, ma di contro il tenero candore e la simpatia del sospettato instillano e concretizzano il dubbio nello spettatore.


A complicare il giallo è il conturbante ingresso in scena della moglie di Leonard Vole, tutt’altro che in lacrime o in preda ad isterismi, come pensavano di dipingerla gli avvocati all’interno del loro studio sulla base di meri stereotipi. «Non svengo mai, perché non sono sicura di cadere con grazia e non annuso sali perché mi gonfiano gli occhi. Sono Christine Vole»: la voce ferma, ammaliante, ed il carisma di uno sguardo freddo ed immobile vanno a plasmare un personaggio femminile ipnotico e trasgressivo che sembra estraneo ai modelli del suo tempo, a cui solo una tra le migliori stelle del cinema, Marlene Dietrich, poteva dare vita.

Nell’evolversi della trama, che di qui in poi proseguirà nell’aula del tribunale, è sicuro che lo spettatore resti inchiodato nel dubbio del giallo, a tratti a sostegno dell’uno o dell’altro potenziale indiziato, grazie alla maestria della scrittura di Wilder e alle arringhe dal ritmo incalzante, perennemente oscillanti tra l’ironico ed il tragico, nonché all’abile performance di tutti gli attori. Fino alla fine dell’opera ci ritroviamo, proprio come una giuria, a dover sbrigliare gli indizi e valutare le sfumature psicologiche dei personaggi per venire a capo dell’enigma. L’analisi del dubbio è il momento di metacinema che prende forma nel sottofondo dell’opera: ci troviamo di fronte a quelle che sembrano tante diverse verità, eppure la realtà è una sola. Che vi sia stato un omicidio e che quindi vi sia un assassino a piede libero è un dato di fatto. In chi ed in cosa dovremmo credere? In questo caso non ci resta di certo che rimanere a guardare.
Voto: 4.5/5
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