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Un altro giro (Druk)

2020, 117min.

di Thomas Vinterberg

con Mads Mikkelsen, Thomas Bo Larsen, Magnus Millang


Recensione di Giovanni Comazzetto


Spoilerometro:



Martin, insegnante di liceo di mezza età, sta attraversando un periodo critico della propria vita: disilluso e stanco, è divenuto invisibile agli occhi della propria famiglia; quasi non parla più con la moglie; i genitori dei suoi alunni lo criticano apertamente per lo scarso impegno come docente.

Una cena con tre amici, anch’essi insegnanti, cambia tutto: superata l’esitazione iniziale Martin, con l’aiuto dell’alcool, riflette a voce alta su frustrazioni e difficoltà personali taciute troppo a lungo. Un bicchiere dopo l’altro, riaffiorano anche memorie e passioni della giovinezza perduta; e tra battute e passi di danza jazz, i quattro amici iniziano a discutere della bizzarra teoria secondo cui ciascuno di noi soffre di un deficit del tasso alcolemico, che andrebbe colmato costantemente. Di qui l’idea di mettere in pratica un rischioso esperimento, ossia verificare gli effetti dell’assunzione costante di alcool sul rendimento professionale e sulla vita personale.



In vino veritas, recita il proverbio che dà anche il titolo a un celebre scritto di Kierkegaard – il filosofo danese che è ricordato più volte nel corso del film. Il vino è garanzia della verità, e la verità del vino. L’alcool nel film di Vinterberg è però non tanto l’oggetto principale del racconto, quanto piuttosto l’elemento perturbatore di un ordine statico ed estenuato, qual è quello che governa le vite dei quattro amici e di chi gravita intorno a loro.



L’ebbrezza cercata e “ragionata” si converte ben presto in una tensione vitale e in uno slancio edonistico sempre meno governabili. L’alcool porta alla luce due crisi matrimoniali maturate già da tempo, ma spinge anche uno dei quattro amici ad uscire dalla solitudine; migliora il rendimento professionale dei protagonisti, ma porta anche uno di loro alla morte; infonde poi ad un loro studente frustrato il coraggio necessario per affrontare e superare l’esame finale – che verte, non certo casualmente, sul concetto di angoscia in Kierkegaard.



La musica che esalta le scene di abbandono, il «disordine di tutti i sensi», si alterna al silenzio che accompagna le rappresentazioni dei conflitti familiari e le immagini di solitudine e quieta disperazione. Ma ad aprire e chiudere il film sono scene di festa, rituali di ebbrezza collettiva. La danza finale di Mads Mikkelsen – che offre qui, con il suo volto dolente e scavato, un’interpretazione memorabile – suggella un film originale e sorprendente, difficilmente classificabile nella sua alternanza di toni e nella sua distanza da ogni intento moralistico o didascalico. Il brano che accompagna la scena conclusiva è, in questo senso, emblematico: si tratta di un inno alla giovinezza e al godimento del piacere immediato, turbato però da una vena di inquietudine: «quanto tempo prima di impazzire?».


 

Voto: 4/5

 

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