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28 anni dopo (28 Years Later)

  • traumfabrikblog
  • 26 giu
  • Tempo di lettura: 3 min

2025, 115min.

di Danny Boyle

con Alfie Williams, Jodie Comer, Aaron Taylor-Johnson, Ralph Fiennes


Recensione di Giovanni Comazzetto


Spoilerometro:




Il cinema degli ultimi anni sembra confidare sempre di più su sequel, remake e reboot per riempire le sale, ma gli esiti sono spesso deludenti (basti pensare ai fiacchi tentativi di rianimare le saghe di Star Wars, Jurassic Park e Indiana Jones). A questa tendenza generale non si sottrae il regista britannico Danny Boyle, che, dopo aver riportato al cinema nel 2017 gli anti-eroi del film cult Trainspotting, dirige ora il nuovo capitolo della saga horror-fantascientifica composta da 28 giorni dopo (da lui diretto nel 2002) e 28 settimane dopo (2007, diretto da Juan Carlos Fresnadillo). Il risultato è un film sorprendente ma discontinuo, che prova ad articolare alcune riflessioni sugli anni della pandemia e sull’attuale situazione geopolitica dal punto di vista della Gran Bretagna.



Nel prologo si vede un gruppo di bambini seduti davanti al televisore, intenti a guardare i Teletubbies. All’improvviso irrompe nella casa un’orda di “infetti”: solo un bambino riesce a scappare e a rifugiarsi nella chiesa vicina, ma il sacerdote non lo aiuta, essendo impegnato a pregare e ad invocare il Giorno del Giudizio. Il film compie quindi un salto di 28 anni. Il “virus della rabbia” si è ormai diffuso in tutta la Gran Bretagna, ma ne è stata scongiurata la circolazione nel continente mettendo in quarantena l’intera nazione. Un gruppo di sopravvissuti resiste in un’isola fortificata, Holy Island, collegata alla costa dell’Inghilterra da una strada molto stretta e sopraelevata, che scompare con l’alta marea.



Costretti a questo doppio isolamento, dal resto dell’Inghilterra e dal continente, i sopravvissuti hanno dato vita ad una sorta di società preindustriale, strutturata secondo i ruoli di genere tradizionali che vedono gli uomini dediti alla garanzia della sicurezza e al procacciamento del cibo, e le donne ai lavori domestici. La prima parte del film descrive una sorta di rito di iniziazione: il piccolo Spike (Alfie Williams) è chiamato – come momento di passaggio all’età adulta – ad effettuare una breve missione sulla costa, accompagnato dal padre Jamie (Aaron Taylor-Johnson) e armato solo di arco e frecce. Nonostante qualche intoppo, la missione riesce; ma una volta tornato al villaggio, Spike decide di partire di nuovo (questa volta senza il padre, dimostratosi inaffidabile), per trovare un medico che aiuti la madre malata (Jodie Comer). Questa seconda missione, che diviene il centro del film, ne modifica in parte il tono, dimostrando come l’intento di Danny Boyle sia quello di sovvertire continuamente le aspettative dello spettatore, in particolare di chi si aspetta di vedere un tradizionale survival movie sugli zombie.



L’obiettivo del regista è però centrato solo in parte. Oltre alle ottime interpretazioni degli attori protagonisti e ad una memorabile apparizione di Ralph Fiennes nei panni di uno stravagante medico ossessionato dal memento mori (evidente omaggio al Kurtz di Apocalypse Now), meritano di essere segnalate la splendida fotografia (vedi le sequenze ambientate nelle foreste del Northumberland) e il montaggio, particolarmente efficace nelle scene d’azione. Il film, indebolito da una certa discontinuità di ispirazione, alleggerisce i toni prevalentemente cupi e drammatici con elementi di satira sulla Little England e una critica tutt’altro che velata all’ideologia nazionalista. Non mancano momenti terrificanti e meravigliosi: l’apice del lirismo è raggiunto nella scena del “tempio delle ossa”, che segna forse il vero rito di passaggio all’età adulta per il protagonista. Peccato invece per l’orribile finale, che altera nuovamente il tono del film preludendo – goffamente – a un futuro sequel. 


Voto: 3/5


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