top of page

Bugonia

  • traumfabrikblog
  • 26 set
  • Tempo di lettura: 3 min

2025, 120min.

di Yorgos Lanthimos

con Emma Stone, Jesse Plemons, Aidan Delbis


Recensione di Sofia Magliozzo.


Spoilerometro:

ree


Nel corso della sua carriera, Yorgos Lanthimos ha mostrato un’evoluzione significativa, non tanto nelle proprie fascinazioni, quanto, piuttosto, nelle forme di rappresentazione. Se con The Lobster (2015) si presentava ancora come un regista piuttosto didascalico, che esercitava la narrazione come esperimento sociale e filosofico, in Bugonia Lanthimos porta a termine un cambiamento – o, quantomeno, un affinamento – del proprio stile, iniziato verosimilmente con Povere creature! (2023). Tale cambiamento è sicuramente esito di un più maturo controllo da parte di Lanthimos degli strumenti cinematografici, che virano verso una maggiore chiarezza visiva e spingono all'impatto emotivo, senza tuttavia abbandonare l’amore per l'assurdo, il grottesco e il satirico distopico che identificano la poetica del regista. 

In Bugonia quel cinema che sembrava volersi presentare come un "laboratorio concettuale", in cui la narrativa si configurava quasi come pretesto per ruminazioni didattiche sulla società, echeggiando lo stile di Kubrick e di von Trier, trova quindi un nuovo equilibrio.


ree

Ciononostante, Bugonia ribadisce tuttavia quanto il regista greco rimanga in ogni caso fedele al suo stile: uno stile imperniato sull’idea che l'opera cinematografica usi l'assurdo non come semplice ornamento, ma come strumento per interpretare il mondo contemporaneo. La pazzia dei teorici del complotto, l'impatto sulla realtà (in ambito politico, sociale e tecnologico), l'ombra del potere aziendale, tutto si trasforma in metafora, ma è anche, allo stesso tempo, vissuto tangibile. 

Il lungometraggio prende avvio con immagini evocative tratte dall’ambito dell'ecologia, mostrando le api e la loro estinzione e intrecciandole con ossessioni tipiche del nostro tempo: la manipolazione operata dai media, il sospetto diffuso, la sensazione che la verità sia instabile e che il confine tra realtà e allucinazione sia sfumato.

Dal punto di vista tecnico, la regia alterna con maestria geometrie (anche se meno rigorose delle opere precedenti) e improvvisi scarti visivi. I movimenti di macchina sono calibrati con una lentezza capace di mettere in evidenza l'alienazione dei personaggi, lasciando tuttavia spazio anche ad accelerazioni improvvise che spezzano la simmetria e creano un senso di vertigine. Le scelte fotografiche amplificano la sensazione di claustrofobia: l'uso di spazi chiusi, corridoi e stanze anguste rimandano a un mondo in cui il confine tra controllo e paranoia è ormai indistinguibile. Non c'è più la magnificenza cromatica e barocca de La favorita (2018): qui regna un'essenzialità più dura, come se Lanthimos avesse deciso di ridurre all'osso la propria estetica per mettere in primo piano il conflitto psicologico e sociale.


ree

Nonostante la sceneggiatura non originale (il film è un remake di Jigureul jikyeora! (2003) di Jang Joon-hwan), uno degli aspetti più affascinanti di Bugonia rimane il tema del complotto e il modo in cui il regista lo affronta. Lanthimos, infatti, non riduce il complottismo a una caricatura, né lo trasforma in semplice metafora politica: lo inserisce piuttosto in una riflessione maggiormente ampia sulla fragilità della percezione e sul bisogno di credere in qualcosa, anche a costo di scivolare nell’irrazionale. Tale aspetto rende il film estremamente attuale, quasi una cronaca mascherata da fantascienza, capace di restituire con immediatezza il senso di spaesamento del nostro presente. In questo senso la distopia di Bugonia non è qualcosa di futuribile: essa è, invece, un riflesso distorto dell’oggi.


In questo contesto, la recitazione gioca un ruolo fondamentale. Jesse Plemons impersona un personaggio intriso di ossessione e disperazione, modulando lo sguardo e la postura in un crescendo ipnotico. Ma è ancora una volta Emma Stone a catturare irrimediabilmente l’attenzione. Dopo La favorita e, ancora di più, dopo Povere Creature!, Stone dimostra infatti una versatilità straordinaria: abbandonata l’esuberanza di Bella Baxter, l’attrice si immerge invece in Michelle, personaggio più enigmatico e controllato. La metamorfosi viene esplicitata nell’atto di raderle i capelli, che sottolinea appunto il valore simbolico conferito al suo corpo.  La recitazione di Stone è sì glaciale, ma mai monotona, e, dietro la maschera, si dimostra capace di far emergere un nucleo di vulnerabilità che rende il suo personaggio ambiguo, inquietante e umano al tempo stesso.


ree

Rispetto ai film immediatamente precedenti, Bugonia sembra segnare un passaggio decisivo: se The Lobster, e in parte La favorita, erano opere ancora cariche di rimandi e modelli, mentre Povere Creature! si configurava come sorta di esplosione visiva e narrativa, qui Lanthimos si presenta come regista finalmente emancipato dalle influenze, liberato da orpelli e in grado di dare vita a un cinema che si riconosce immediatamente come suo.

Non siamo più, quindi, in presenza di un cinema solo “didattico”, né di un semplice esercizio concettuale: ci troviamo davanti a un'esperienza totale che intriga, provoca, disorienta e lascia un retrogusto persistente di inquietudine. Bugonia, in buona sostanza, non solo sancisce l'importanza di Lanthimos nel panorama cinematografico attuale, ma si afferma anche come una delle sue opere più riuscite, perché non scende a compromessi e preserva la ferocia dell’assurdo, rendendola al contempo più accessibile, viva ed emozionante. 


Voto: 5/5



Commenti


bottom of page