1983, 89 min.
di David Cronenberg
con James Howard Woods, Deborah Ann Harry, Sonja Smits
Recensione di Valentina Corona
Spoilerometro:

Max Renn è il direttore di Canale 83, una piccola emittente televisiva nordamericana che trasmette film porno e contenuti violenti. Un giorno la parabola di uno degli uffici della rete, istituito allo scopo di piratare programmi di altre emittenti internazionali, trasmette le riprese provenienti da uno spazio insolito che ha le sembianze di una stanza delle torture, in cui i protagonisti vengono filmati nell’atto di subire violenze e abusi. Ben presto Renn apprenderà che i contenuti di Videodrome – questo il nome del programma televisivo di cui ha appena scoperto l’esistenza – non sono affatto opera di finzione, e che quelli che gli appaiono attori particolarmente talentuosi sono, piuttosto, vittime di abusi reali osservati in diretta da una videocamera.

Videodrome, ottavo lungometraggio di Cronenberg, consacra in modo definitivo modi e temi che concorrono a identificare il marchio di fabbrica del regista canadese: la centralità del rapporto tra uomo ed evoluzione tecnologica, l’osservazione minuziosa dei mutamenti del corpo, l’ossessione per il sesso, l’attenzione alle derive psicopatologiche della mente.
Travestito in chiave horror e sci-fi, però, c’è un film che è innanzitutto politico: Cronenberg, infatti, riflette sul confine labile tra realtà e finizione in un momento in cui la televisione si configura ormai indiscutibilmente come strumento di massa e si fa osservatore acuto dei fenomeni sociali del suo tempo. In che misura, quindi, la televisione è in grado di condizionare i comportamenti del “popolo degli spettatori”? La visione prolungata di sesso e violenza ha un effetto catartico su chi li osserva, come sostiene Renn, o trasforma invece attivamente i desideri dello spettatore, invogliandolo a sperimentare nella realtà quello che, protetto da uno schermo, sembra altrimenti relegato alla zona di comfort della fantasia?
La risposta che il regista canadese dà a questi interrogativi è ben diversa da quella del suo antieroe: nell’ecosistema-Cronenberg la televisione si insinua nella mente di chi la guarda come un tumore, col risultato che allo spettatore diventa impossibile distinguere tra realtà e finzione scenica, in preda com’è a uno stato di delirio allucinato. La televisione è vita, in estenuante e prolungato reality show i cui i protagonisti penetrano, letteralmente, nello schermo televisivo e da questo vengono cambiati per sempre nel corpo e nella mente.

Impossibile non notare come la sceneggiatura, anch’essa a cura di Cronenberg, sia incapace di portare alle estreme conseguenze il geniale assunto di partenza e finisca col perdersi, lasciando anche sul finale la sensazione di una matassa ingarbugliata tutta da dipanare e risolta per ragioni di comodo in una narrazione semplicistica e tutto sommato poco comprensibile. Si tratta però di un’ingenuità che si fa fatica a non perdonare, considerata la portata quasi profetica del film di Cronenberg, concepito alla vigilia dell’enorme successo che di lì al decennio successivo avrebbe accompagnato il genere della TV-verità.

Il regista canadese, insomma, riesce nel capolavoro di fare scaturire l’orrore dell’horror dall’orrore sociale, lasciando intendere che la fantasia più terribile che il cinema può proporre allo spettatore è quella che lo spettatore sta già vivendo dietro al grande schermo.
Voto: 3.5/5
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