A History of Violence
- traumfabrikblog
- 18 ott 2021
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 25 ott 2021
2005,96min.
di David Cronenberg
con Viggo Mortensen, Maria Bello, Ed Harris
Recensione di Sofia Magliozzo
Spoilerometro:

Mettendo in discussione il mito della frontiera, scheletro e struttura "grande sogno americano", David Cronenberg, nel suo più semplice e quieto film, realizza il ritratto di una famiglia della piccola borghesia della provincia americana. E lo fa avanzando per ossimori e contrasti: la tranquillità di una piccola cittadina del Midwest versus la criminalità organizzata di una grande città dell' Eastside; la seconda placida vita di Tom Stall versus la prima violenta vita dello stesso; il pacifismo del figlio versus il bullismo dei suoi compagni di scuola; il candore poliziesco, quasi paterno, dello sceriffo versus la freddezza criminale e organizzata dei mafiosi.
Il cuore pulsante della storia batte attorno all'incertezza sul passato di Tom. La magnetica recitazione di Viggo Mortensen che lo interpreta, alimenta nello spettatore, inquadratura dopo inquadratura, il dubbio sulla sua effettiva identità. Infatti, né la sceneggiatura né tantomeno la drammatizzazione attoriale ci chiariscono se Tom e Joey siano lo stesso individuo o se Tom, ancora peggio, sia solo vittima di uno sfortunato scambio di persona. Ed è proprio su questo gioco fatto di titubanza e perplessità che il film si apre alle questioni di identità: cosa rende ognuno di noi quello che siamo? È solo il nostro viso e il nostro nome o qualcosa di più profondo, come il nostro passato?

Cronenberg, maestro del sottogenere del "body horror", esce con A History of Violence da quella che sembrava essere la sua comfort zone (Crash, ExistenZ), realizzando un film multistrato capace di fornire un ritratto inquietantemente profondo ed autentico della natura dell’uomo attraverso l’uso strumentale dell’angoscia propria del thriller e dei postulati caratteristici di questo genere prettamente americano. Il messaggio, alla fine, risulta privo di qualsiasi etichetta o appartenenza specifica e, in maniera universale, stimola tutto il pubblico ponendolo in una posizione scomoda e stimolandone la curiosità. Il regista tesse, quindi, un incantesimo lungo oltre un'ora, ma probabilmente, a causa della necessità di dare una risoluzione convenzionale alla storia, si dimostra incapace di mantenerlo vivo per l'intera durata della pellicola, portando il tutto fuori rotta. Infatti, alcuni dei personaggi e diverse interessanti relazioni fra essi, vengono sottratti dallo schermo per consentire al film di muoversi in una direzione più canonica.
Che la responsabilità non sia di Cronenberg ma solo della sceneggiatura, basata su una graphic novel, che ha dato ai realizzatori poca scelta sulla traiettoria da seguire?

A History of Violence, come lo stesso titolo suggerisce, può essere visto come un thriller e difatti funziona meglio durante i suoi passaggi più efferati. La violenza, aspetto inevitabile, anche se spiacevole, della natura degli esseri umani, viene mostrata come vicina, personale, fisicamente devastante ma quello che ancor di più risalta è il modo in cui Cronenberg ritrae tutte le scene in cui, questa, si manifesta: senza una traccia di idolatria e senza una goccia di feticismo ma solo raffigurandone l’ineludibilità e la sua appartenenza al genere umano stesso. Oltre a questa rappresentazione genuina che il regista offre, indagando sulla violenza, il film fa da calamita anche per la complessità con cui affronta il problema dell'identità irrisolta e la profondità psicologica dei momenti di declino che, in modo del tutto legittimo, portano a chiedere a quale conclusione voglia giungere. Offrendo un senso di chiusura e, nella scena finale, di speranza, il dubbio sulla natura e sull'identità di una persona, fissa o fluida che sia, rimane senza risposta.
VOTO: 4/5
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