top of page

Dune


2021, 155min.

di Denis Villeneuve

con Timothée Chalamet, Oscar Isaac, Rebecca Ferguson


Recensione di Sofia Magliozzo


Spoilerometro:



Per prima cosa, Dune, di Frank Herbert del 1965, è un libro definito, da chi l'ha letto, come «un'allegoria geopolitica futuristica».

Nel 1984 Lynch ne fa un adattamento cinematografico che si rivela disastroso sia per la critica che al botteghino, al punto tale da portar il regista a rinnegarlo.

Poi, ad un certo punto, qualcuno decide che sia proprio necessario realizzare un secondo adattamento, questa volta della prima metà del libro, ed è così che, nel 2021, esce il lungometraggio dalla durata snervante di 155 minuti, la cui regia stavolta è firmata da Villeneuve e la sceneggiatura da Eric Roth e Jon Spaihts.

Nonostante il passare degli anni, la realtà di Dune si colloca sempre in un futuro molto lontano, la cui posizione degli eventi, sulla linea del tempo, può ritenersi un'attività accessoria e in cui l'umanità appare evoluta rispetto a numerosi aspetti scientifici e alterata in altrettanti aspetti spirituali. Questo consegna un impero galattico frutto della combinazione di avanzamento tecnologico e misticismo.



In qualsiasi metro quadrato della terra i suoi abitanti sembrano non esistere più e l'impero degli Atreides, formato dal Duca Leto Atreides (Oscar Isaac), dalla sua concubina Lady Jessica (Rebecca Ferguson) e dal figlio, Paul (Timothée Chalamet) incaricato di governare il pianeta desertico di Arrakis, si trova all'interno di un gioco di potere che risulta difficile da comprendere per tutta la durata del film. Arrakis, luogo arido e infertile, possiede però una sostanza pregiata chiamata "spezia" coltivata dai Fremen, attorno alla quale ruotano gli interessi dei personaggi e la trama di tutto il film.

Paul, il supereroe quindicenne di Dune in seguito alla morte del padre, fugge ad Arrakis, dove si unirà ai Fremen e alla fine sconfiggerà i suoi nemici mortali, gli Harkonnen, per rivendicare il dominio imperiale sull'universo conosciuto.



Il regista, esagerando per tecnica e professionalità, riesce a collocarsi su quella che possiamo definire la "linea sottile" a confine tra la grandiosità legittima di un film di fantascienza e la pomposità fin troppo esagerata di alcune scene già di per sé attribuibili ad un film del medesimo genere, anche quando vengono ripulite dal superfluo. Basti pensare alla prova di Gom Jabbar (che solo gli eletti riescono a superare) e ai vari incontri e attacchi di vermi della sabbia che sono realizzati, per lo più, come se fossero tubature di dimensioni gigantesche, dotate di vita propria ma completamente fuori controllo. A fronte di una regia così eccessiva in quasi tutti i suoi aspetti, la sceneggiatura invece si compone di dialoghi brevissimi e frasi sussurrate che lasciano spazio alla narrazione visiva. Questi elementi consegnano esattamente il tipo di film lussureggiante e altezzoso per cui sono stati fatti i grandi schermi: un'esperienza sensoriale così opulenta e travolgente che implora di essere vista in grande (o non essere vista affatto).

La trama infatti, forse a causa dell'imponente narrazione di Herbert, è per lo più un prologo: la storia che viene raccontata, pur se presentata con un inizio linearmente definito, stenta a giungere ad una fine risolutiva. Questo probabilmente anche perché il film è solo la prima parte di un progetto più grande che vedrà l'uscita del sequel, Dune 2, a fine 2023.


 

Voto: 2/5

 

Comments


bottom of page