2021, 106 min.
di Valdimar Jòhannson
con Noomi Rapace, Bjòrn Hlynur Haraldsson, Hilmir Snaer Guònason
Recensione di Luca La Russa
Spoilerometro:

L’interessante esordio del regista islandese Jòhannsson ci suggerisce fin dalle prime immagini che si tratta di un’opera ambiziosa focalizzata interamente su un’atavica questione: l’apparente dualismo tra la natura umana e quella più puramente bestiale.
L’intenzione di scavare a fondo in tale direzione viene infatti continuamente ribadita dalle estetizzanti riprese del freddo paesaggio nordico (decisamente poco contaminato), e in particolar modo dai continui close-up sugli animali, presentissimi nella pellicola: ci troviamo di fronte cavalli, cani, gatti e, soprattutto, pecore. Proprio queste ultime risultano essere protagoniste tanto quanto i due coniugi che vediamo intenti ad allevare tali ovini nella loro proprietà lontana dai centri urbani. Poco prima di fare la loro conoscenza però ci viene presentato un antefatto fondamentale che sembra volere dichiarare a noi spettatori di trovarci di fronte a un’opera apparentemente fantastica o addirittura horror: una presenza mostruosa, forse maligna, si aggira tra le pecore nel recinto nell’oscurità della notte.
Scopriamo in seguito, insieme alla coppia intenta ad assistere alle nascite degli agnellini tempo dopo, che tale fatto porta a ciò che dovrebbe essere un terribile (nonché impossibile) abominio, ovvero il parto di una sorta di ibrido tra pecora e bambina (abbastanza chiaro fin dalla prima reazione dei due allevatori, nonostante la sceneggiatura firmata dallo stesso regista decida di palesare definitivamente tale aspetto appena successivamente).

Da qui in poi comincia una sorta di “depistaggio” da parte dell’autore: la coppia accoglie come propria figlia la creatura con corpo di bimba e testa di agnellino (la chiamano Ada proprio come la bambina persa in un tragico incidente) e parallelamente il tono dell’opera abbandona sempre di più la tensione iniziale prediligendo un forte naturalismo dei dialoghi con una recitazione decisamente minimalista. Chi guarda, dunque, comincia ad abituarsi a questa ricerca di “normalità” da parte dei due protagonisti e, proprio come succede nella storia al fratello del “padre”, rinnega l’orrore iniziale per l’aspetto disumano e prova ad accettare l’evoluzione verso la nuova “felicità” (così descritta orgogliosamente dai personaggi) della famigliola.

Tuttavia anche se a questo punto il film sembra optare per una sorta di attualizzazione e naturalizzazione di una vicenda quasi fiabesca (il soggetto è indubbiamente debitore di suggestioni da un universo di miti e leggende nordeuropee e non, con tutti i numerosi gradi di simbologie e possibili significati che ne conseguono) verrà comunque contaminato irrimediabilmente da elementi che troviamo più affini a certe tragedie in senso classico: su tutti il momento della crudele uccisione della pecora (la madre biologica di Ada) da parte della protagonista (una eccezionale Noomi Rapace) spaventata dalla vicinanza della bestia alla “bimba”, volto a farci interrogare su cosa sia bestiale e cosa no, ma probabilmente anche sulla natura della maternità e della protettività da essa derivante. L’affrontare questi temi e altri (l’ineluttabilità della morte, l’elaborazione del lutto) in maniera abbastanza inusuale nonché interessante da parte dell’autore rendono pregevole la pellicola, seppur forse colpevole di un finale sbrigativo che facilmente può lasciare insoddisfatto un certo tipo di spettatori, magari già confuso dalla poco chiara collocazione del film stesso.
Voto: 3/5
Comments