2022; 189 min.
di Damien Chazelle
con: Diego Calva, Brad Pitt, Margot Robbie, Jovan Adepo
Recensione di Francesco Mosca
Spoilerometro:

Numerosi sono i film che trattano di cinema, dalle pellicole autobiografiche a veri e propri omaggi alla settima arte. A questa lunga serie si aggiunge anche Damien Chazelle, già autore di Whiplash e Lala Land, con il suo ultimo lavoro, intitolato Babylon.

Il lungometraggio segue da vicino le vicende di alcuni personaggi parte dell’industria cinematografica, all’apice dell’epoca del cinema muto. Il personaggio centrale della vicenda è Manuel Torres (Diego Calva), detto “Manny”, giovane tuttofare messicano con l’aspirazione di far parte del mondo degli studios, che, nella Los Angeles del 1927, mentre lavora alla festa di un dirigente dei Kinoscope Studios, incontra l’attore Jack Conrad (Brad Pitt) vera e propria leggenda del cinema muto, la giovane e ambiziosa Nellie LaRoy (Margot Robbie) ed il trombettista nero Sidney Palmer (Jovan Adepo). La pellicola segue l’evoluzione delle storie dei quattro personaggi, a cavallo tra gli anni ’20 e ’30, mettendo in risalto il modo in cui l’invenzione del cinema sonoro impatta sulle loro vite. Questo momento costituisce lo snodo cruciale della vicenda: l’introduzione dell’audio in presa diretta nei film, infatti, fu una vera e propria rivoluzione per il cinema, il cui impatto si rivela devastante per i personaggi della storia.

Dopo un salto di cinque anni dall’inizio delle vicende, vediamo che la stella di Jack Conrad inizia rapidamente ad andare in declino, nonostante abbia interpretato decine di film, infatti, la nuova invenzione gli fa perdere rapidamente i favori del pubblico dato che i suoi film sonori si rivelano un flop; lo stesso si può dire per la giovane Nellie Laroy che, dopo un’ascesa fulminante come nuova star del cinema muto, compie una caduta altrettanto rapida a causa della sua incapacità oratoria e della volgarità di ragazza di provincia. Manny, che nel frattempo è giunto a ricoprire il ruolo di produttore esecutivo e che è innamorato di Nellie fin dal loro primo incontro, cercherà di aiutarla in ogni modo anche esiti disastrosi per sé stesso e per la sua carriera, mentre il trombettista Sidney Palmer si scontrerà col razzismo predominante sia tra i membri di alto rango sociale, sia nell’industria cinematografica stessa. Le cose non andranno bene per nessuno: Sidney abbandona l’industria per tornare a suonare alle feste e nei locali, Jack morirà suicida a causa della sua incapacità di sopportare il declino della propria stella, mentre Nellie scomparirà nella notte, abbandonando Manny e venendo così dimenticata, mentre lo stesso Menny sarà costretto a lasciare il suo lavoro e la città. La sequenza finale, ambientata nel 1952, è la degna e splendida conclusione dell’omaggio di Chazelle al passato, al presente e al futuro del cinema.

Chazelle, che del film è anche sceneggiatore, divide l’opera in due grosse sezioni: nella prima, che va dall’inizio fino all’invenzione del sonoro, il cineasta omaggia il cinema di una volta, il coraggio dei produttori e la genialità dei primi registi ma, soprattutto, ne esalta la libertà artistica ed espressiva insieme alla capacità di realizzare grandi opere con investimenti relativamente economici (nella gigantesca scena del set all’aperto la Kinoscope sta girando contemporaneamente diversi film), mentre, nella seconda muove un’evidente critica al nuovo cinema che, da semplice intrattenimento popolare, viene elevato ad arte con tutto quello che ne consegue. Nella seconda parte del lungometraggio la libertà espressiva degli artisti viene infatti mostrata come ingabbiata dalle case di produzione, sempre più attente alle esigenze morali della medio-alta borghesia, i cui membri sono man mano maggiormente coinvolti sia come spettatori che come produttori. Il riferimento al codice Hays, che negli anni ’30 dettò le nuove regole etiche del cinema, imbavagliando di fatto la libertà espressiva degli artisti, è evidente ma, scendendo un po’ più in profondità è possibile leggere tra le righe una certa critica alla Hollywood contemporanea che, in nome di un’inclusione sempre più forzata e imposta dogmaticamente al pubblico, sta nuovamente ricadendo nell’autocensura.
Voto: 4/5
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