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Dante


2022, 94 min.

di Pupi Avati

con Sergio Castellitto, Alessandro Sperduti, Carlotta Gamba, Enrico Lo Verso


Recensione di Francesco Mosca


Spoilerometro



Firenze, anno 1350. Dopo trenta anni dalla sua morte, la città accorda il perdono ad uno dei suoi figli più illustri, Dante Alighieri, morto in esilio a causa delle sue opinioni politiche. Il poeta

Boccaccio, grande ammiratore ed appassionato delle opere dantesche, viene incaricato di compiere un viaggio fino a Ravenna per incontrare la figlia del poeta e consegnarle dieci fiorini d’oro a titolo di risarcimento per le vicissitudini vissute dal padre durante le lotte intestine che hanno coinvolto la sua patria.

Ispirato al libro Trattatello in laude di Dante, scritto dallo stesso Boccaccio, il film narra del viaggio di quest’ultimo alla volta di Ravenna ma, allo stesso tempo, mostra allo spettatore alcuni dei momenti più noti della vita del poeta, che Boccaccio narra in prima persona o ascolta dai personaggi che incontra lungo il proprio cammino.



La narrazione assume un carattere quasi agiografico, e in essa la vita e la sofferenza del poeta vengono messe in primo piano, grazie a una storia che ne tratteggia la personalità insieme alla storia dell’origine dei suoi testi più famosi, citati più volte letteralmente all’interno del film. Dal racconto di Boccaccio e dei suoi interlocutori, emerge un Dante estremamente sofferente, che scrive ciascuna delle proprie grandi opere in momenti di grande dolore: l’innamoramento nei confronti di Beatrice, un amore ostacolato dalle differenze sociali tra le famiglie dei due, il matrimonio e la prematura morte di lei, la grande amicizia con Guido Cavalcanti, tanto profonda quanto affettuosa e la disillusione politica che allontana irrimediabilmente i due poeti e sarà causa del tradimento del Papa nei confronti dello stesso Dante. La lotta intestina tra Guelfi bianchi e neri, infatti, si risolve a favore di questi ultimi grazie all’intervento di Carlo I di Valois, causando l'esilio di Dante, che durerà fino alla sua morte e gli darà il dolore più grande di tutta la sua vita. È proprio in esilio che il poeta concepisce e scrive La Divina Commedia, nel tentavo disperato di redigere un’opera straordinaria che possa concedergli il perdono dei suoi concittadini e fare terminare il suo esilio. L’opera, com’è noto, verrà completata ma il perdono di Firenze arriverà solo postumo, dando origine a una diatriba tra Firenze e Ravenna sui resti del poeta che è durata per secoli.



La regia del maestro Avati è esaltata dalla splendida fotografia che è curata in modo ineccepibile da Cesare Bastelli grazie all’utilizzo di luce naturale e alle scenografie buie, adottate soprattutto nelle scene notturne e in quelle all’interno. Lo sviluppo della sceneggiatura, invece, è molto complesso; il continuo passaggio tra passato e presente e tra Dante e Boccaccio nel ruolo di protagonista degli eventi, rende la visione ostica e pesante per gli spettatori, specialmente per coloro che sono poco avvezzi alle vicende del poeta.



Quanto detto, unito alla mancanza di azione, rende la visione del film a tratti noiosa, nonostante la grande qualità tecnica che contraddistingue le opere di Pupi Avati che, a quanto pare, non aveva intenzione di realizzare una pellicola destinata al grande pubblico. La dedica finale “A tutti i dantisti”, infatti, rivela le reali intenzioni del regista: realizzare una pellicola sul sommo poeta destinata a tutti coloro che amano la sua storia e la sua opera. Per apprezzare fino in fondo la visione del lungo metraggio, è consigliabile conoscere la biografia e le opere di Dante, anche solo a un livello scolastico.


Voto: 3/5

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