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Leoni per agnelli (Lions for Lambs)

  • traumfabrikblog
  • 14 minuti fa
  • Tempo di lettura: 2 min

2007, 92min.

di Robert Redford

con Robert Redford, Meryl Streep, Tom Cruise, Andrew Garfield


Recensione di Giovanni Comazzetto


Spoilerometro:

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Il titolo deriva da una frase pronunciata da Redford nel corso del film, attribuita ad un generale tedesco: «Non ho mai visto tanti leoni comandati da simili agnelli». Corre l’anno 2007: è passato qualche tempo dall’attentato alle Torri Gemelle, la guerra in Afghanistan gira a vuoto e incontra sempre meno favore nell’opinione pubblica americana. A sette anni di distanza da La leggenda di Bagger Vance (2000), Redford decide quindi di tornare alla regia con un film che affronta apertamente le contraddizioni della war on terror, inscrivendosi nella tradizione del «cinema di parola».


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Assistiamo a tre dialoghi che si svolgono in luoghi diversi, nello stesso momento: un’esperta giornalista (Meryl Streep) intervista un politico repubblicano (Tom Cruise) sulle nuove strategie militari in Afghanistan; un professore di scienze politiche (Robert Redford) cerca di motivare uno studente annoiato (Andrew Garfield); due soldati, ex studenti del professore interpretato da Redford, si scambiano le loro ultime parole prima di essere uccisi dai talebani.


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Peccando a volte di didascalismo, il film prende di mira i principali responsabili della disfatta americana (in Afghanistan, e non solo): politici come il gelido senatore interpretato da Tom Cruise, che perpetuano la logica imperialista mandando a morire un’intera generazione; la stampa connivente, che si fa veicolo di propaganda di guerra; il cinismo rassegnato della gente comune, che si incarna nello studente chiamato da Redford all’impegno civile. 


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Episodio minore nella straordinaria filmografia dell’attore e regista recentemente scomparso, Leoni per agnelli trova il suo principale punto di forza nel messaggio antimilitarista e nel duello verbale tra Tom Cruise e Meryl Streep. Quest’ultima, in particolare, esprime con la consueta bravura il conflitto interiore di chi è chiamato a scegliere tra integrità e interesse personale. Di rilievo anche la scena finale, dove si vede una televisione sintonizzata su di un telegiornale: gli aggiornamenti sulla guerra scorrono come didascalia in contemporanea ad un servizio sul divorzio di una cantante pop. Vengono in mente le parole di Roger Waters in Amused to Death (1992): guerre e ingiustizie imperversano, e noi vi assistiamo passivi davanti a uno schermo («shadows grouped ‘round the TV sets»).  

 

Voto: 3/5


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