2022, 84 min.
di Fabrizio Ferraro
con Olimpia Bonato, Domenicao D'Addabbo, Fabio Fusco
Recensione di Simone Giuffrida
Spoilerometro

Inverno 1944, Monti Marsicani. Antonio, Pietra, Rocco e il Comandante, sono quattro partigiani che vagano nella neve alta, affondando ogni passo con il corpo e con l'anima. Di loro non si sa molto, né la meta né da dove vengano; attraversano monti innevati costeggiando ghiacciai, si riposano riparandosi sotto gli alberi se arriva una gelida bufera. Imbracciano sempre il fucile perché fascisti e tedeschi potrebbero essere ovunque.
L'ambientazione ed il girato ricordano a tratti Il passo del diavolo, film del 2003 sull'incidente del passo Djatlov, nel quale nove escursionisti accampati nella parte settentrionale dei monti Urali morirono per cause rimaste sconosciute.
Drammaticamente situata in un contesto storico e politico ben preciso, tuttavia la storia dei quattro partigiani italiani si connette con un'attualità ancora intrinsa di fragilità e guerre. Una delle particolarità del film è probabilmente la scelta di Ferraro di proporre la visione di quelli che "normalmente" sarebbero materiali di scarto, come inquadrature fuori fuoco che tentano di aggiustarsi con lo zoom o ripetizioni di battute, tempi morti e falsi movimenti; tutto in bianco e nero.

I dialoghi – serrati – sono rari ed in marcato dialetto. Il Comandante è pugliese, , Antonio e Rocco non dicono quasi nulla. Nessun parla troppo, non si può, la paura che possano essere sentiti dal nemico è alta. La marcia ed il cammino permettono ai quattro di conoscersi anche senza dialoghi; dai gesti, dal riposo senza sonno. Sembra un cammino interminabile, destinato a durare nel tempo quando all'improvviso incontrano una ragazza, sola e spaventata.
Secondo il capo della brigata è una spia pronta a consegnarli ai nemici appena abbasseranno la guardia. Il partigiano Pietra, invece, la difende, rivedendo in lei un vecchio amore. Intanto continuano a marciare. Mentre il gruppo attraversa da parte a parte boschi e paesaggi sferzati dalla neve, la voce fuori campo di Pietra sussurra frasi poetiche su come i morti rimangano con la bocca aperta e proprio allora, da lì, esca la parola definitiva. Eppure, c’è un qualcosa della realtà che la parola non riuscirà mai a cogliere. Poche parole. Parole che effettivamente non servono tanto se si ha il perenne pericolo del nemico e il freddo glaciale sulla testa. Il comandante caccia via la donna, spaventata, ma Pietra la segue.

Fabrizio Ferraro è l'autentico mattatore del film, sul set fa quasi tutto (produttore, sceneggiatore, regista, direttore della fotografia, montatore); il suo è cinema di impegno civile fatto immagini eppure poco visto; un cinema di volute deviazioni letterarie senza mai andare fuori controllo.
Paradossalmente potrebbero suoni, spari o i vari monologhi interiori disturbarne la visione, abituata insieme all'udito ad altro durante il film. Un invito ad ascoltare, il film stesso più che i morti che cita.
Presentato al concorso Progressive Cinema della Festa Cinema di Roma, I morti rimangono con la bocca aperta ha come obiettivo il dimostrare i limiti della psiche ma colpevolmente non ricorda di recuperarne il corpo.

Voto: 2.5/5
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