2012, 125min.
di Robert Redford
con Robert Redford, Susan Sarandon, Shia LaBeouf, Julie Christie
Recensione di Giovanni Comazzetto
Spoilerometro:

«We made mistakes, but we were right»: in questa frase lapidaria, pronunciata in una delle scene iniziali del film, Sharon Solarz (Susan Sarandon), ex attivista del movimento Weather Underground, condensa il senso delle riflessioni offerte a un giovane cronista, in una sorta di intervista-confessione che segue alla sua cattura da parte dell'FBI. L’arresto, avvenuto in circostanze fortuite appena prima che lei si andasse a costituire, innesca l'ossessiva nricerca - da parte della polizia federale e della stampa - di altri latitanti legati ai gruppi della sinistra radicale attivi negli USA all’inizio degli anni Settanta. A farne le spese è soprattutto l'avvocato Jim Grant (Robert Redford), pure lui ex militante dei Weathermen, ricercato da trent'anni per il presunto coinvolgimento in una rapina terminata con un omicidio. Una volta che la sua vera identità è stata svelata dal giovane cronista Ben Shepard (interpretato da Shia LaBeouf), a Grant - vedovo e con una figlia undicenne - non resta che fuggire alla ricerca dell'unica persona che possa scagionarlo e restituirgli la vita che si era costruito ad Albany (New York).

Con questo riuscito thriller politico, teso ed esteticamente essenziale, Redford affronta i temi che più gli sono cari - l'antimilitarismo, la necessità del pensiero critico, i personaggi “fuorilegge” che denunciano le storture del sistema - indagando sul rimosso della coscienza americana e dando voce a un gruppo di “invisibili” che sono d'improvviso inseguiti da una giustizia tardiva e opprimente, molto simile a una vendetta di Stato. La spietata caccia all'uomo che si scatena su Jim Grant, convertitosi ad avvocato di provincia e padre di famiglia, riporta alla luce una rete di contatti che sembrava sepolta per sempre, e rinvigorisce la solidarietà che un tempo innervava i rapporti tra i compagni del movimento rivoluzionario.

Intrecciando in modo quasi sempre convincente scene d’azione e riflessioni sul rapporto tra violenza e azione politica, Redford aggiunge un nuovo tassello a quel cinema engagé del quale la sua ricca filmografia offre luminosi esempi (tra tutti, i film girati con il grande Sydney Pollack). Sempre in bilico tra la rievocazione nostalgica e la ricerca di nuove forme per l’impegno politico, La regola del silenzio tende tuttavia, soprattutto nella parte finale, a farsi elegia delle occasioni perdute. L’incontro centrale, suggestivo, tra il protagonista e la sua amante dei tempi giovanili, mette a confronto due opposte concezioni dell’eredità politica del Sessantotto: da una parte la volontà di proseguire quella lotta, sia pure “con altri mezzi”, e dall’altra la sostanziale rinuncia all’impegno politico diretto, in nome della responsabilità familiare e della riabilitazione agli occhi della società.

Se si dà credito all’ultima scena del film, sembra che il messaggio di Redford consista nel dire che questo non è più un tempo per azioni rivoluzionarie e sovversive, e che la scelta più saggia è ripiegare in uno spazio privato – ciò che infatti ha deciso di fare il protagonista, Jim Grant, dopo la parentesi di impegno politico nei Weathermen. Alcuni indizi, che si traggono da quel che precede, sembrano però suggerire un’analisi meno scontata: attraverso le vicende del cronista Ben Shepard – i cui tratti richiamano altri personaggi interpretati da Redford in passato – il regista sembra infatti voler mettere in discussione letture grossolane o manichee delle esperienze della New Left statunitense, riconoscendo gli errori commessi ma spingendo anche ad una presa di coscienza che non comporti una mera rassegnazione allo status quo.
Mosso inizialmente da una ricerca ossessiva della verità, incurante delle ragioni dei Weathermen superstiti e delle conseguenze dei propri articoli sulle vite delle persone coinvolte, il giornalista matura progressivamente una sorta di tacita solidarietà con i latitanti, finendo lui stesso nel mirino dell’FBI e decidendo di non rivelare pubblicamente un segreto appreso da Grant nel corso dell’inchiesta. D’altro canto Redford critica i metodi dei Weathermen, ma riserva la condanna più energica all’imperialismo e alla violenza di Stato.
Voto: 3.5/5
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