2017, 120 min.
di Darren Aronofsky
con Jennifer Lawrence, Javier Bardem, Ed Harris, Michelle Pfeiffer
Recensione di Francesco Mosca
Spoilerometro:

Una coppia vive in una casa isolata: il poeta (Bardem) è un autore famoso in cerca dell’ispirazione perduta, madre (Lawrence) si occupa del restauro della casa semi-distrutta in un incendio precedente. La loro frustrante routine viene interrotta dall’arrivo di due visitatori misteriosi.

Il settimo lungometraggio del regista newyorchese Darren Aronofsky parte da questa premessa apparentemente semplice, per mettere in scena un dramma allegorico ambizioso e complesso. La prima parte del film mette in scena i ritmi della coppia di protagonisti, di cui emerge rapidamente l’insoddisfazione per una quotidianità estenuante per entrambi.
Il poeta sembra aver perso il suo dono e ricerca ossessivamente l’ispirazione al punto di non accorgersi dell’impegno profuso da madre nel restauro della loro casa. Madre, nel frattempo, è frustrata, artisticamente e sessualmente, per la mancanza di attenzione da parte del marito. L’arrivo degli ospiti misteriosi, non particolarmente apprezzati da madre ma adorati dal poeta, è uno dei momenti più interessanti del lungometraggio soprattutto grazie all’ottima performance di Ed Harris e di Michelle Pfeiffer. La rottura del prezioso cristallo nello studio del poeta, l’assassinio di uno dei figli della coppia per mano del fratello e il successivo funerale, con tanto di diluvio finale, rendono evidente che il film è un’allegoria del racconto biblico, che il regista utilizza per rappresentare il rapporto tra l’umanità e la Madre Terra.
Il poeta dunque è la rappresentazione di Dio in quanto creatore, madre invece è un’allegoria di Madre natura stessa, dove la casa funge idealmente da rappresentazione del pianeta Terra; lo studio rappresenta il giardino dell’Eden mentre il cristallo assume il ruolo della mela proibita; gli ospiti non sono altri che Adamo ed Eva in persona (in questa chiave, l’interpretazione di Pfeiffer che mette in scena una Eva tanto cafona, quanto orgogliosa e seducente assume una rilevanza in termini di significato ancora maggiore), mentre il fratricidio rappresenta la morte di Abele per mano di Caino; durante il funerale il poeta riesce a scrivere una poesia di straordinaria bellezza (la parola di Dio, data agli uomini) e dopo una lite furibonda per le frustrazioni di madre e per i danni riportati dalla casa durante il funerale stesso, madre rimane incinta in seguito a una notte di passione.

Da qui ha inizio la seconda parte del lungometraggio in cui il regista mette in scena la sua allegoria dell’umanità: gli ammiratori del poeta iniziano ad affollare sempre di più la sua casa, e questa ammirazione si evolve in crescendo fino a sfociare nel fanatismo. Aronofsky, in modo decisamente prevedibile, tratteggia un’umanità corrotta e peccatrice, malata di un amore deviato per il poeta che sfocia in violenze e guerre che si ripercuotono sulla casa e su madre, in un climax ascendente di immagini stranianti e orrorifiche. La tensione raggiunge l’apice quando la folla di ammiratori impazzisce per la nascita del figlio del proprio idolo e, in preda a un amore malato, ne causa una morte tanto prematura quanto terribile e finisce col nutrirsi del suo corpo in un atto di cannibalismo di massa.

Concepito come grande opera sul rapporto tra l’uomo e il pianeta Terra affrontato mediante l’utilizzo dell’allegoria biblica, Madre! si perde un po’ troppo in sé stesso. L’evidente cambio di ritmo tra la prima e la seconda parte del film, più che espediente narrativo, sembra essere quasi un atto necessario per comprimere due milioni di anni di storia umana in un paio d’ore di film e, una volta esauriti gli elementi da thriller psicologico, il prodotto perde di interesse nonostante alcuni momenti visivi di notevole impatto. Lo stesso atto finale di autodistruzione di madre risulta piuttosto moralista e didascalico, così come i toni di gran parte del film.
Voto 2.5/5
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