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Malmkrog

2020, 201 min.

di Cristi Puiu

con Frédéric Schulz-Richard, Marina Palii, Ugo Broussot, Diana Sakalauskaité, Agate Bosch


Recensione di Mauro Azzolini


Spoilerometro:



Transilvania, inizio Novecento. Due uomini e tre donne appartenenti all’alta borghesia discutono con trasporto, per un’intera giornata, di temi filosofici prendendo come spunto la realtà contemporanea e le proprie convinzioni. È in questa descrizione essenziale che si può riassumere l’intreccio dell’ultimo film di Puiu, la cui semplicità, però, sembra non andare oltre il perimetro della sinossi.

Nel dispiegarsi di temi, punti di vista, massime ed esempi che investono come un fiume in piena lo spettatore, travolgendolo per più di tre ore, non c’è nulla di elementare o banale.

L’argomento intorno al quale il gruppo di amici, tutti russi di nazionalità o di provenienza, inizia a conversare la mattina è legato all’eticità della guerra e alla legittimità della violenza.

Da qui prende corpo un’ininterrotta sequenza di affermazioni – a volte sarcastiche, a volte candide – attraverso le quali i cinque personaggi giocano ruoli sempre differenti vestendo i panni di accusatori, moralisti fustigatori di costumi ed emozionati sostenitori di un ideale umano perfettamente in equilibrio tra i valori cristiani e quelli guerrieri dell’Ottocento europeo.



All’articolata struttura argomentativa fa da contraltare la staticità della messa in scena. Gli attori, ingessati dalla formalità dei loro abiti (concreti e sociali), si muovono pochissimo nello spazio che li ospita, mentre intorno a loro, senza un attimo di pausa, camerieri e servitori si spostano costantemente entrando e uscendo dalle inquadrature. La macchina da presa non sembra muoversi per lunghissimo tempo quasi a voler aiutare lo spettatore a concentrarsi sulle parole (il film si presta perfettamente alla visione in lingua originale con sottotitoli) mentre appiattisce l’immagine. Non c’è profondità di campo ma soltanto profondità di ragionamento.



Ed è proprio sul ragionamento che Puiu fa poggiare l’intera impalcatura del film, sulla sua capacità – o meglio sulla fiducia nella sua capacità – di poter plasmare la realtà. Nulla di ciò che accade, infatti, ha delle ripercussioni concrete, tanto da arrivare al paradosso per cui la morte stessa dei protagonisti, magistralmente costruita in una lunga scena dal climax ascendente, non è nulla di più di una pura ipotesi che sconvolge lo spettatore perché irreale nelle sue conseguenze.



Se inserito in una prospettiva più ampia Malmkrog può essere dunque letto non come una metafora, quanto piuttosto come un appello. Un appello agli intellettuali a non rassegnarsi alla

realtà (anche quella in cui versa la Romania del XXI secolo, mostrata in modo esemplare dall’altro film romeno in concorso a Berlino, Sesso sfortunato o follie porno) e a riprendere in mano gli strumenti teorici fondamentali per comprendere e trasformare la società. In un’epoca in cui si è imparato o si sarebbe dovuto imparare a diffidare delle parole, la centralità attribuita a questo livello della comunicazione risulta il più grande attestato di stima nei confronti della razionalità dell’uomo. Tuttavia, come ogni attribuzione di fiducia, si tratta di una scommessa e non è detto che questa possa essere vinta.


 

Voto: 4/5

 

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