2018, 120min.
di Panos Cosmatos
con Nicolas Cage, Andrea Riseborough, Linus Roache
Recensione di Luca La Russa
Spoilerometro:

Il secondo lungometraggio del figlio d’arte Cosmatos (il padre è il greco-italiano autore di successi hollywoodiani come Cassandra Crossing e Rambo 2) ci racconta la storia di Red e Mandy, i quali conducono una pacifica vita di coppia nella regione del Mojave.
La loro tranquilla esistenza viene brutalmente lacerata dall’ aggressione di una setta di invasati dediti all’uso massiccio di allucinogeni e ai sacrifici umani. Questi fanatici non hanno pietà della ragazza che finisce uccisa durante un macabro rito e così al sopravvissuto Red, abbandonato al suo dolore, gravemente ferito e in preda agli effetti delle droghe somministrategli dai membri della setta, non rimane che attuare una terribile vendetta contro ognuno dei responsabili.
Seguiamo infatti il sempre più allucinato e disperato protagonista in un esplosivo crescendo di azione e violenza per tutto il resto della pellicola, la quale si dimostra fedele sicuramente allo schema dei cosiddetti revenge movies, ma vistosamente infarcita di tantissimi elementi presi da diversi generi: non manca l’aspetto soprannaturale (alcuni motociclisti alleati degli assassini hanno infatti sembianze palesemente mostruose) così come una esasperazione del grottesco tipica dei film più splatter(da segnalare, a proposito, un duello sorprendente tra due seghe elettriche, oggetti simbolo di certe stagioni dell’horror).

Proprio nella dichiarata voglia di stabilire un rapporto con gli storici film di genere (non è un caso che il film sia ambientato negli 80) e, di conseguenza, nella probabile intenzione di riscriverne una nuova pagina con (forse) nuove coordinate, sta la chiave interpretativa dell’opera, la cui grande forza risiede nel riuscire a unire tale intenzione con una evidente tendenza a una certa “autorialità” da parte del talentuoso regista.
Questi, infatti, durante la parte precedente alla tragedia dei protagonisti, dosa sapientemente il ritmo incantando con una fotografia sublime e colori sognanti, esaltati dalla magnifica colonna sonora (impressionante il synth di quella originale del recentemente scomparso Johann Johannsson, così come lo è l’utilizzo della mozzafiato Starless dei King Crimson nella sequenza dei titoli di testa).
Tale indugiare, inizialmente, su toni onirici e mistici non fa che amplificare la manifestazione dell’incubo nel capitolo appena successivo: il ritmo progressivamente accelera, il sangue scorre e i toni diventano sempre più acidi e indigesti, come se lo spettatore venisse anche lui trascinato in un pesante trip psichedelico finito male.


L’autore dunque, tormentandoci e divertendoci, orchestra perfettamente una discesa negli inferi virando verso un’estetica sempre più tetra, ma tale operazione riesce soprattutto grazie alla scelta di un protagonista dalle caratteristiche di Cage, a cui il ruolo di Red, che scivola verso la pazzia a causa di orrori indescrivibili proprio come un personaggio lovecraftiano, sembra veramente cucito addosso: l’iconica star, criticata spesso per il suo essere sopra le righe, fa qui quello che gli riesce meglio, ovvero dare tutto sé stesso al film, sposando l’eccesso più sfrenato.
Lo osserviamo fare a pezzi tutto e tutti, imbevuto di sangue e bruciacchiato, ascoltiamo le sue grida oscene, e lo vediamo perfettamente aderente all’atmosfera lisergica cercata dal regista, che può contare su un puro attore-corpo immensamente dedito all’obiettivo di un (se possibile) altrettanto puro cinema.
Voto: 4/5
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