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Marrakech Express

1989, 106min.

di Gabriele Salvatores

con Fabrizio Bentivoglio, Diego Abatantuono, Giuseppe Cederna


Recensione di Cristiano Lo Presti


Spoilerometro



Primo capitolo della tetralogia della fuga (seguito da Mediterraneo, Turné e Puerto Escondido), Marrakech Express è spesso paragonato a Il Grande Freddo per la tematica affrontata.

Ritrovarsi, guardarsi indietro, fare un bilancio delle proprie vite, tra sogni infranti, ideologie sbiadite in favore di un rassicurante imborghesimento, chi ce l’ha fatta e chi no, e il freddo di rapporti sfilacciati dal tempo, persi sulla strada di una vita rampante, e una profonda nostalgia della propria gioventù a fare da collante.



Se ne Il Grande Freddo si percepiva l’eco della controcultura studentesca post-hippie degli anni ’70 e la ferita era quella della guerra in Vietnam, cicatrizzata dall’edonismo reaganiano, qui si guarda agli anni di piombo e alle promesse non mantenute di un movimento studentesco che, appeso il sanpietrino al chiodo, alla lotta di classe ha sostituito uno yuppismo avido e arrivista.

Nel mettere in scena questa rimpatriata Salvatores opta per una soluzione diametralmente opposta a quella di Lawrence Kasdan, il quale aveva scelto una casa di campagna come ambiente quasi unico, girando un rocambolesco road movie per privare i protagonisti delle proprie comfort zone, smantellando ad ogni tappa le certezze che questi si sono costruiti nella decina d’anni trascorsa dalla fine dell’università.

Marrakech Express è, però, soprattutto un film sul tempo che passa e che irrimediabilmente cambia le persone, sull’impossibilità di ricostruire o semplicemente rievocare ciò che è stato e non è più. In tal senso lo definirei quasi un manifesto anti-nostalgico, in particolare guardando il personaggio di Marco (interpretato da un sognante Fabrizio Bentivoglio), il più entusiasta all’idea di riunire il gruppo, eppure il primo a rendersi conto di quanto ormai siano cambiati e per questo il personaggio che alla fine si ritrova più amaro in bocca.



Sono cresciuto con Marrakech Express e l’ho sempre amato follemente. Ne amo l’atmosfera malinconica e sognante, così come il rapporto eternamente conflittuale ma al tempo stesso visceralmente fraterno di questi vecchi amici.

Un applauso va al bluesman italiano Roberto Ciotti, che nel giro di un anno ha riciclato per questo film le musiche che aveva scritto per l’orrendo Provocazione con Moana Pozzi.



Punto forte: L’anno che verrà di Lucio Dalla, sul traghetto, e La leva calcistica della classe ’68 di Francesco De Gregori durante la partita in spiaggia “Italia – Marocco”, scena ripresa negli anni ’90 da Aldo, Giovanni e Giacomo in Tre Uomini e una Gamba.

Punto debole: Alcune transizioni tra una scena e l’altra in dissolvenza al nero, ma giusto perché non mi hanno mai convinto.


Voto: 3.5/5

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