2005, 124min.
di Woody Allen
con Jonathan Rhys Meyers, Scarlett Johansson, Emily Mortimer
Recensione di Giovanni Comazzetto
Spoilerometro:

Con Match Point Woody Allen abbandona temporaneamente l’amata New York e si trasferisce a Londra, dove gira uno dei suoi film più riusciti. La scena iniziale è straordinariamente efficace: è inquadrata una pallina da tennis che colpisce il lembo superiore della rete, librandosi poi sopra di essa per pochi istanti. A seconda della parte del campo dove la pallina cadrà, il punto – che può essere il punto decisivo del match – sarà assegnato all’uno o all’altro giocatore. Forza, intelligenza e talento sono necessari, nel tennis come in qualsiasi altra attività; ma l’importanza della Fortuna nella vita, ci ricorda la voce fuori campo, è superiore a quanto siamo normalmente disposti ad ammettere.

Il protagonista del film, al contrario, ne è perfettamente consapevole: per questo tenta di domare e battere la Fortuna, agendo come uno spregiudicato arrampicatore sociale.
Ex tennista, che ha giocato contro i “grandi” senza però mai raggiungere il loro livello, Chris (interpretato da Jonathan Rhys Meyers) diventa istruttore di tennis in un circolo esclusivo e qui conosce Tom (Matthew Goode), rampollo degli Hewett, ricca e potente famiglia di Londra.
La stima di Tom, e il fascino che esercita su sua sorella Chloe (Emily Mortimer), segnano per Chris l’inizio di una vertiginosa scalata dell’upper class londinese.
A complicare l’ascesa sociale del protagonista (presto assunto nell’azienda degli Hewett) è tuttavia la sua passione, ricambiata, per la sensuale Nola Rice (Scarlett Johansson), aspirante attrice e fidanzata di Tom, poco gradita tuttavia alla famiglia di lui in quanto americana ed estranea ai loro rigidi canoni di appartenenza. Sebbene sia innamorato di Nola (con cui inizia segretamente una relazione), Chris finisce per sposare la pretenziosa Chloe, consolidando così la sua posizione nell’azienda degli Hewett. L’insofferenza di Nola per le indecisioni di Chris e una gravidanza imprevista porteranno tuttavia il protagonista a compiere una scelta tragica e agghiacciante.

Questa storia di “delitto senza castigo” sembra richiamare in diversi punti un altro capolavoro di Allen, Crimini e misfatti (1989). In una delle due linee narrative che percorrono il film, Judah Rosenthal, ricco e affermato medico newyorkese, decide di commissionare l’omicidio della sua amante, temendo che questa possa rendere nota la loro relazione e compromettere il suo matrimonio e la sua posizione sociale. Il processo psicologico del delitto costringe tuttavia l’ateo Judah a fare i conti con il proprio retaggio culturale, con l’implacabile «occhio di Dio» della tradizione ebraica il cui timore gli era stato instillato dal padre ai tempi dell’infanzia. Diverso è l’approccio di Match Point: Chris è sì tormentato dal senso di colpa per gli omicidi commessi, ma è anche consapevole della «morte di Dio» e del deserto di senso in cui si agitano gli esseri umani.

Suggestivo, ma fuorviante, è pure il paragone con il Raskòl’nikov del capolavoro dostoevskiano: Chris non uccide per assecondare un delirio superomistico, ma per eliminare ogni ostacolo alla sua arrampicata sociale; né approda, dopo i delitti, ad una prospettiva religiosa. Quello di Match Point è infatti un universo senza scopo, senza redenzione e senza giustizia, dominato dal caso. Per quanto Chris, dialogando in sogno con gli spettri delle persone che ha ucciso, sembri auspicare di essere scoperto, quasi che ciò potesse mostrargli un minimo segno di giustizia, le sue azioni sono destinate a rimanere impunite, e le sue vittime a restare «danni collaterali» (come le migliaia di morti di un terremoto in Cina, cui si fa riferimento in un dialogo apparentemente secondario tra Chris e la moglie).
La Fortuna, in una scena che richiama suggestivamente l’immagine iniziale del film, salva Chris dalle conseguenze dei suoi crimini; ma la partita più importante sembra comunque persa, come testimonia nell’inquadratura finale lo sguardo del protagonista, destinato a un futuro di solitudine e indifferenza.
Voto: 4.5/5
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