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Mommy

2014, 139min

di Xavier Dolan

con Anne Dorval, Antoine Olivier Pilon, Suzanne Clément


Recensione di Arianna Alessia Armao


Spoilerometro:



Un deluso addio alla scena del cinema calza alla perfezione con il carattere sentimentale dei lavori – e degli interventi pubblici – di Dolan[1]. Il giovane regista, emerso con brillanti pellicole adolescenziali come J’ai tué ma mère e Les amours imaginaires (o con incursioni oscure come Tom à la ferme), ci ha a lungo deliziato coi suoi drammi familiari, con le sue colonne sonore nostalgiche e con la sua personalissima sovversione dei generi e della sensualità.



Lavori maturi come Laurence Anyways e Juste la fine du monde ci hanno letteralmente costretto alle lacrime, ma è forse con Mommy che Dolan realizza una delle più fini riflessioni politiche e psicologiche apparse ultimamente nei nostri cinema. Mai Celine Dion è risultata più dolorosa, commovente ed evocativa, mai le geometrie dello schermo[2] si sono adattate meglio al senso di impotenza di una madre costretta a crescere un figlio complicatissimo senza alcun aiuto, ad eccezione di quello della sua fragile e coraggiosa vicina di casa.



Quello di Steve, Diane e Kyla è un microcosmo fatto di solitudine, insolenza e attimi di precaria felicità. Le loro vite – per nulla romanzate ma anzi perfettamente aderenti al reale – ci accompagnano nella distruzione dell’immagine idiota della famiglia tradizionale e perfetta, rivelando quanto nelle situazioni di difficoltà risiedano i sentimenti più autentici e le scelte più ardue. Mommy è un film spietato, col carattere della denuncia e lo spessore dell’indagine umana. Una visione onesta, disincantata e al contempo intellettuale.



Con perizia maniacale, Dolan ha sempre diretto i suoi film nell’intento di suscitare piacere estetico e profondi stravolgimenti di pancia. La sua è una ritirata stizzita e giustamente risentita, un saluto che speriamo non risulti davvero definitivo, sebbene sia sempre meglio chiudere la propria produzione prima di precipitare in scivoloni sclerotici o mercificati, come la nostra epoca di iper-produzione culturale c’impone.

[2] Una chicca: le inquadrature strette, soffocanti, si aprono al respiro soltanto nei pochi momenti di gioia liberatoria del film.


Voto: 4.5/5

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