di Cristiano Lo Presti
È quel periodo dell’anno in cui quelli che si autoproclamano cinefili, intenditori, appassionati o semplicemente a cui piace guardare film, al grido di “ce l’ho/manca”, discutono dei candidati ai premi Oscar (che poi si chiamano Academy Awards), i più noti tra i premi cinematografici, i più ambiti, in un certo senso i più prestigiosi, anche se non li definirei un marchio di qualità (ci ricordiamo tutti di Sheakspeare in love, cui andò la statuetta come miglior film nel 1999). Una di quelle cose in cui gli americani sono certamente i più bravi al mondo, esaltare e celebrare se stessi. Ho scelto la categoria probabilmente a me più congeniale, quella riguardante la miglior sceneggiatura originale, ossia non adattata da un’opera preesistente (per quelle che definirei “derivative”, tratte magari da un testo letterario, un fumetto o un’opera cinematografica precedente, esiste un’altra categoria). Vediamo più nel dettaglio quali sono le cinque sceneggiature originali selezionate dall’Academy come papabili vincitrici della statuetta calva. Il meglio del meglio, secondo loro.
1
La persona peggiore del mondo
scritto da Eskil Vogt e Joachim Trier
Questo è forse il film che a mio avviso può ambire maggiormente alla statuetta, perché quanto meno rispetto agli altri candidati non ha punti deboli, ed è una gran cosa. La sceneggiatura di The worst person in the world, grazie anche all’interpretazione eccellente di Renate Reinsve, ci offre una rappresentazione più vera del vero di una donna (ma potrebbe riconoscercisi chiunque, quindi direi di una persona) totalmente incapace di prendersi delle responsabilità nel percorso che la porta a rimanere incapace di prendersi delle responsabilità, però consapevole di esserlo. Wow. Durante il percorso la protagonista avrà modo di calpestare chiunque abbia la sfortuna di gravitarle accanto, ma credo sia una componente essenziale dell’autodeterminazione; l’egoismo e l’egocentrismo più bieco. Certo, il tema qui è la sceneggiatura, e questa riesce a raccontare perfettamente il girare a vuoto su cui ruota la trama, fornendo basi solidissime al regista e agli attori su come lavorare per dare vita a questa storia di ordinaria consuetudine, e offrendo allo spettatore tanto una costruzione approfondita della donna al centro della scena quanto un discreto ritratto di alcuni personaggi di supporto. Purtroppo la protagonista mi è risultata insopportabile abbastanza presto, impedendomi di entrarci in sintonia emotiva, e il processo di immedesimazione è molto importante nei film. Ciò non toglie che la sceneggiatura (come il film) sia molto buona e penso che potrebbe meritare la vittoria.
Voto: 3,5/5

2
Una famiglia vincente - King Richard
scritto da Zach Baylin
King Richard è un biopic, quindi non so come la sua sceneggiatura possa essere considerata propriamente “originale”, e ci racconta la storia del padre delle tenniste Serena e Venus Williams, in particolar modo di come sia riuscito a portare al successo la seconda. Per qualche ragione il film lascia decisamente ai margini il percorso compiuto da Serena. Trattandosi di un biopic immagino che alcune pecche dello script fossero inevitabili: ad esempio un secondo atto eccessivamente lungo, che anziché raggiungere un climax procede e quando sembra sia salendo di livello, si ferma, arretra, ancora e ancora, ritardando parecchio l’arrivo del breve terzo atto. Snervante. Ma ripeto, qui si narra una storia vera, quindi voglio pensare che gli sceneggiatori siano stati limitati dalla necessità di essere fedeli alla realtà dei fatti, aggiungendo di proprio pugno solo la retorica necessaria per rientrare nella categoria “biopic” e assicurarsi un posto in nomination. Sinceramente non so perché sia candidato, forse gli era rimasto un posto vacante.
Voto: 3/5

3
Don’t look up
scritto da Adam McKay e David Sirota
Si tratta di uno dei film più chiacchierati dell’anno, forte di un cast stellare e di una tematica sempre attuale come “quanto sono cretini, scusate, ottusi quelli che ci governano, complici di lobbisti interessati solo ad arricchirsi”. Insomma ragazzi, il capitalismo. Il film è piacevole, mediamente divertente, forse un po’ troppo indeciso su che tono adottare. Troppa commedia secondo alcuni, troppo poco grottesco secondo me, che avrei preferito vederlo diretto dai fratelli Coen. Ad ogni modo il film è sufficientemente carino, ridicolizza il giusto politica, industria e giornalisti, e sufficientemente interessante, riuscendo a farci discutere di ambientalismo, anche se sullo schermo il problema è un corpo celeste che colpirà la terra, insomma un metaforone che vuole sbatterci in faccia che il pianeta che abitiamo sta male a causa nostra e non lo ascoltiamo abbastanza, riuscendo nell’intento. Tutto sommato trovo giusta la candidatura, ma credo anche che non abbia la personalità necessaria per vincere la statuetta e diventare un classico. Solo il tempo dirà se ho torto o ragione.
Voto: 3/5

4
Belfast
scritto da Kenneth Branagh
Il secondo film di Kenneth Branagh uscito nel 2021 (l’altro è Assassinio sul Nilo, per cui ok il covid, ma era proprio necessario farli uscire uno dopo l’altro in sala?) ha nella sceneggiatura uno dei suoi pochi elementi positivi. Il soggetto è davvero semplice: le difficoltà di una famiglia che si trova a vivere in un contesto difficile. Ma la scelta di collocare questo racconto sullo sfondo della capitale dell’Irlanda del Nord, divisa tra cattolici e anglicani in guerra non solo gli uni con gli altri oltre che tra loro, lo rende interessante. Tutto però è visto con gli occhi di un bambino e questo francamente annoia rapidamente. Come per la regia, il montaggio, la colonna sonora e quasi tutti gli altri aspetti che contribuiscono alla costruzione di questo film, penso che si tratti di un’occasione persa. Si poteva fare un bel film, invece se ne è fatto uno scritto bene ma realizzato in modo piuttosto insulso.
Voto: 3/5

5
Licorice Pizza
scritto da Paul Thomas Anderson
Il nuovo film scritto e diretto da Paul Thomas Anderson ha tanti pregi e un unico vero difetto: la sceneggiatura. Il problema non è tanto la trama poverissima, quanto una scrittura piuttosto scialba, svogliata, che apre molte parentesi senza effettivamente svilupparne i contenuti, lascia molte, troppe, cose al caso, così come a caso porta avanti, di volta in volta, la storia, fino a raggiungere un finale di una banalità disarmante. Mi rendo conto che, a parte me, la quasi totalità della critica e del pubblico ne sia entusiasta.
Voto: 2.5/5

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