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Spencer

2022, 111min.

di Pablo Larraín

con Kristen Stewart, Jack Farthing, Sally Hawkins


Recensione di Mauro Azzolini


Spoilerometro:



24 dicembre, una giovane donna guida una Porsche decapottabile tra le campagne della contea di Norfolk. Sbaglia strada, si ferma a chiedere indicazioni e in modo casuale incontra il cuoco della vicina regia. Davanti a lui ruba il giubbotto a un vecchio spaventapasseri e finalmente trova il sentiero per la dimora dove tutti la aspettano.


Basta questo per credere di avere davanti agli occhi nulla di più di una ragazza sbadata e poco attenta agli orari, un po’ come tutti i giovani. La ragazza però non è una giovane qualsiasi, ma Diana Spencer, moglie di Carlo principe di Galles ed erede al trono britannico.



I tre giorni che vanno dal Christmas eve al Boxing day del 1991, con l’intera famiglia reale riunita a Sandringham, sono scelti da Larraín come piano per la rappresentazione del dramma privato, ma ampiamente noto, vissuto da Diana. In quei giorni, infatti, nell’animo della donna arriva ad assumere piena centralità lo scontro tra la necessità di aderire ad un modello imposto dalle convenzioni e una natura costantemente orientata alla ricerca della libertà e della normalità, il cui risultato è un’esteriorità insofferente e ribelle.


Ma per rendere fino in fondo la proporzione di questa scissione non è sufficiente la descrizione del mondo ingessato della corte, né basta il giustapporsi ad esso della vicenda sentimentale con il marito coinvolto in un’altra relazione. Tutto deve concorrere ad isolare la protagonista e per fare questo il regista sceglie di adottarne il punto di vista per poi procedere, in un vortice sempre più coinvolgente, alla sua scomposizione.


Non vi è sguardo, non vi è parola, tra quelle che Diana riceve, che non faccia percepire il disappunto e il disagio profondo che una figura anomala come la sua crea nel contesto che la circonda. Per lei è impossibile comunicare con quelli che, sul piano teorico, rappresentano i suoi pari. Gli unici che sembrano davvero accettarne la natura, e dunque comprenderne la sofferenza, sono i figli, troppo piccoli per avere voce in capitolo, o alcuni tra i componenti del personale di servizio, a cui la differente estrazione sociale consente poco.



Diana è, dunque, sempre fuori luogo. Non può essere se stessa, ma non riesce ad essere niente di diverso; è questo che fa andare in pezzi la sua personalità. Prima il confronto con un fantasma, quello di Anna Bolena, via via sempre più presente e capace di catalizzare la proiezione del suo destino, poi la memoria di un’infanzia spensierata e libera; ora dopo ora si allontana sempre di più dalla realtà, attraversando sconvolta gli spazi che la circondano e alternando incubi a ricordi felici.


Larraín utilizza la macchina da presa per catapultare lo spettatore nel vortice di emozioni che sconvolgono la protagonista: le soggettive allucinate rendono conto della sua percezione, mentre le coraggiose rotazioni che la avvolgono in modo oggettivo ma irreale hanno l’obiettivo di restituire lo spazio astratto della mente in cui Diana si osserva vivere. Allo stesso modo, ma nella direzione opposta a questa scomposizione del soggetto, il montaggio ha il ruolo di ricondurre ad unità. E dunque è grazie ad esso che la regina decapitata da Enrico VIII o la Diana bambina e quella adolescente convergono e si sovrappongono all’unico personaggio al centro della scena.




Kristen Stewart domina la scena. La sua interpretazione aumenta di intensità con il crescere della tensione fino ad esplodere nella sequenza di brevi inquadrature in cui Diana si muove e danza per le stanze vuote del palazzo. Ma l’attrice statunitense è altrettanto brava a contenere, a ridurre l’esternazione del dramma a piccolissimi movimenti del collo, degli occhi, delle mani, delimitando il perimetro di una performance da Oscar.


Nulla è fuori posto in questo film che rappresenta la sintesi perfetta per la trilogia femminile di Larraín (Jackie era la tesi, Ema l’antitesi). Se la domanda, allora, è: siamo di fronte ad uno dei migliori autori in circolazione? La risposta è senz’altro sì.


 

Voto: 4/5

 

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