2018, 126min.
di Kirill Serebrennikov
con Teo Yoo, Irina Starsenbaum, Roman Bilyk
Recensione di Laura Caviglia
Spoilerometro:

«L’America è il nostro nemico. E tu canti le loro canzoni, le canzoni del nostro nemico ideologico»
«Le pop-star cantano. Io ululo, ricordi?»
Prendete qualcosa di simile alla colonna sonora di Trainspotting e toglietele nichilismo ed eroina, aggiungete il senso di oppressione e il desiderio di autodeterminazione di un’intera generazione come quello rappresentato in Hair, ma sostituite all’America degli anni ‘60 e al Vietnam l’U.R.S.S. degli anni ‘80 e l’Afghanistan. Scegliete il bianco e nero, a tratti interrotto da disturbi di colore e grafiche punk in stile “MTV delle origini”. Unite a tutto questo l’ossessione per la musica, e consideratela come se si ergesse innanzi a tutto il resto.
Se nel frattempo sarete riusciti anche a farvi arrestare a Mosca con l’accusa di frode fiscale – forse non andavate a genio al governo di turno – e a terminare il film durante gli arresti domiciliari, allora significa che siete il regista Kirill Serebrennikov in persona. Viceversa potrete limitarvi a guardare il suo film.
Summer ci mostra un’estate nella Leninagrado punk degli anni ’80, percorrendo una storia che ruota intorno al Leningradskij rock-klub (uno dei pochi locali della Leningrado dell’epoca in cui fosse possibile suonare musica rock) e che affonda le radici nell’incisione del primo 45 giri dei Kino, uno dei più famosi gruppi rock sovietici della storia. Il lungometraggio ci permette di capire come poteva essere la vita delle giovani generazioni punk ad est del muro di Berlino, quando cantare canzoni occidentali sul treno poteva comportare l’arresto, ai concerti rock si assisteva da seduti, i testi delle canzoni inglesi si buttavano giù a penna ascoltando i vinili della scena musicale di un mondo che non era il tuo, dominata dai Velvet Underground, da David Bowie e da Bob Dylan, e gli album venivano incisi con banchi analogici.

Al centro della trama è l’incontro tra Viktor Tsoi (Teo Yoo), futuro front-man dei Kino, e il front-man degli Zoopark Mike Noumenko (Roman Bilyk) insieme alla moglie Natasha. Tra i primi due si instaura un rapporto basato su una reciproca stima in quanto musicisti, in un alternarsi velato tra competizione e supporto. Questo legame è ostacolato dalla vita sentimentale dei tre personaggi, e mentre i loro rapporti si dipanano emerge quello che sembrerebbe essere il vero protagonista della storia: Mike è forse il solo personaggio che acquisisce carisma nella trama, dimostrando di essere capace di rimanere fedele a sé stesso e alle proprie priorità, anche mettendosi da parte.


Summer si caratterizza per una fotografia sicuramente eccezionale, ma pecca di ingenuità nella sceneggiatura e ha per questo ricevuto alcune critiche da esponenti della scena musicale russa dell’epoca, in quanto l’immagine della realtà punk-rock della Leningrado dei tempi che ci viene restituita, eccessivamente infantile e superficiale, non sarebbe fedele alla realtà dei fatti. Ciononostante, il film è stato apprezzato in modo generalmente positivo dalla critica e ha vinto il premio per la migliore colonna sonora al Festival di Cannes del 2018.
Considerando che una delle scene migliori del film riprende Mike scorrere lungo pareti con affissi i più importanti vinili della storia del rock, sulle note di All the Young Dudes di David Bowie, eseguita dagli Shortparis, band dark-wave di San Pietroburgo, non possiamo che considerare il premio meritato.

Voto: 3/5
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