The Lobster
2015, 118min.
di Yorgos Lanthimos
con Colin Farrell, Rachel Weisz, Olivia Colman e John C.Reilly
Recensione di: Sofia Magliozzo
Spoilerometro:

Se pensate di essere gli unici ad avere paura di restare soli per il resto della vita per non aver trovato un partner, e credete che oramai non si tratti più di un umano e naturale desiderio ma di una vera e propria ossessione, ritenetevi fortunati: nel mondo distopico di Lanthimos, è anche un reato. In The Lobster, infatti, non si può aver tempo per soffrire di anuptafobia poiché, alla paura patologica di non trovare un compagno, subentra l’angoscia di essere spediti in un hotel per 45 giorni, con lo scopo ultimo di trovare l’amore, pena la trasformazione in un animale. Quello che succede al protagonista David (Colin Farrell) è proprio questo; abbandonato dalla moglie, lo intercettiamo subito come uno sconfitto, un deluso, quasi un rassegnato, mentre inizia il suo "soggiorno" in hotel insieme al fratello, ormai trasformato in cane. Ed è proprio qui, all’interno di questa residenza dai colori pastello, beffardamente accogliente e finemente arredata, che i single, rispettando una serie di regole rigide, a tratti folli, e subendo una propaganda che evidenzia quanto sia conveniente far parte di una coppia e quanto la vita vissuta in due possa e debba essere di beneficio, devono trovare la loro metà.
Per gli ospiti dell’hotel l’impresa, già difficile di suo, diventa ancora più complessa poiché per trovarsi, i due partner, devono avere anche una caratteristica in comune. Questa, infatti, assicurerebbe la buona intesa nella coppia e preconizzerebbe la sua solidità nel tempo, la sua durata. Inoltre, la possibilità che tale compatibilità possa essere falsificata diventa la questione drammatica centrale.

La fotografia fredda e le inquadrature pulite, pur se scremate dal superfluo, consegnano un’immagine ricca e curata in cui ogni aspetto, ogni dettaglio e geometria, riescono a valorizzare anche le ambientazioni più comuni, come un bosco o un centro commerciale.
Il realismo di Lanthimos ci catapulta in un mondo in cui la crudeltà e l’umorismo sono legati a doppio filo in modo indissolubile. Ma tutto questo sembra non bastare al regista greco che imbraccia così l’arma del rallentatore, rendendo drammatiche anche le scene di un film che vede, sui piatti della sua stessa bilancia, oltre che momenti di violenza, anche picchi di ridicolo e di sciocco. Il metodo Lanthimos, alla fine, riesce a suscitare apprezzamento frammisto allo shock e rende il film, con la stessa omogeneità, sia violento che divertente, pur in assenza di umorismo. The Lobster sorprende nel modo in cui propone alcuni dei concetti surreali tipici del regista greco (basti pensare ai temi trattati in Dogtooth e Alps), e poi diventa cupo nel modo in cui li realizza. La musica, pur non essendo un elemento costante, è conturbante, inquietante e consegna lo spettatore a due ore di puro grottesco.

Lanthimos, mette la firma su un capolavoro premiato dalla giuria a Cannes e, attraverso la chiave della satira e dell’allegoria, ci consegna un’analisi della condizione umana senza parlare mai veramente di sentimenti ma piuttosto di compatibilità studiate a tavolino, una critica ad una società che si preoccupa di dettare regole sulle relazioni, con l’intenzione di standardizzarle il più possibile e con la presunzione di criminalizzare l’essere -o il voler essere- single. L’uomo, privo di empatia e di sentimento, appare come una macchina disposta a compiere qualsiasi gesto, pur di trovare l’amore, requisito fondamentale per restare in vita.
Voto: 4/5
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