1998, 103min.
Di Peter Weir
Con Jim Carrey, Ed Harris, Laura Linney
Recensione di Cristiano Lo Presti
Spoilerometro:

Prima del Grande Fratello e dei Ferragnez, più in generale prima che noi tutti travisassimo completamente il significato del film e cominciassimo a condividere con il mondo intero ogni insignificante attimo della nostra vita, che i social network diventassero delle vetrine di negozi digitali in cui gli articoli in vendita sono le persone, o meglio ciò che appare di esse, prima di tutto questo c’era un film con il quale Jim Carrey rivelava al mondo di non essere bravo solo a fare ridere con delle facce buffe, ma di essere un attore completo, in grado di portare in scena una moltitudine di personalità e stati d’animo.

Il film racconta di Truman. La sua vita è semplice, ordinaria e abitudinaria. Apparentemente perfetta. Almeno fino a quando non comincia a rendersi conto che dietro quel misto di quiete perenne e cordialità c’è uno schema calcolato al millisecondo, che il mondo in cui vive è pura finzione.
La trama del film la conosciamo tutti. Jim Carrey scelse di recitarvi per dimostrare al mondo di essere più di una faccia di gomma (per quanto geniale), dando vita ad un personaggio profondo e cocente di desiderio. Non capirò mai come sia possibile che non abbia vinto un Oscar.
The Truman Show è stato al centro di alcune mie conversazioni con la mia terapista, per via delle implicazioni metaforiche che offre da un punto di vista psicologico, che chiaramente sono quelle che m’interessano maggiormente.
Il protagonista vive in una condizione apparentemente ideale, seppur limitata. Finta, è vero, ma protetta, inoffensiva, in netta contrapposizione con il caos della nostra realtà. Molti di noi in alcuni momenti della propria vita avrebbero preferito trovarsi al suo posto, in una gabbia dorata priva di tutte le variabili esterne, e per questo difficilmente controllabili, di cui è fatto il mondo in cui viviamo (a fatica). Tuttavia siamo esseri desideranti, per quanto spaventati, ed è proprio il desiderio, in questo caso l’amore per una ragazza incontrata anni prima, a rendere inquieto quest’uomo dalla vita facile.

Truman incarna inconsapevolmente il binomio persona/personaggio. Non lo sa, ma non possiede (o almeno non completamente) la propria vita, non è altro che un prodotto televisivo funzionale a vendere spazi pubblicitari; esemplare la scena in cui durante un litigio con la moglie questa continua a prendere tra le mani oggetti di uso domestico pronunciando slogan pubblicitari, lasciandolo incredulo. Più che una creatura è una creazione ad opera del regista Christof, interpretato ottimamente da Ed Harris, che ereditò il ruolo in extremis da Dennis Hopper a riprese già quasi ultimate.
Come in un mito della caverna del nuovo millennio (in coppia con Matrix), scostato il velo di Maya, Truman studia lo schema entro cui tutto si muove e funziona nel suo mondo e lo sovverte per poter finalmente affermare il proprio libero arbitrio. Una volta scoperta l’illusione, non può far altro che ribellarsi, distruggerla e uscirne, anche se questo significa non giovare più della protezione del suo piccolo mondo, tanto sicuro quanto finto e ipocrita.
Perché, parafrasando Renée Thom, una volta acquisita una nuova consapevolezza non si può più tornare indietro.

Emblematico in tal senso è il finale, in cui Truman preferisce rischiare la morte in “mare aperto” pur di fuggire dal piccolo mondo di cui è stato prigioniero inconsapevole per tutta la vita; quando tutto sembra perduto finalmente la barca su cui si trova sfonda una parete su cui è dipinto un cielo azzurro, ultima barriera che separa lo show dal mondo reale, e a nulla serve il tentativo disperato di Christof di fermarlo perché lì fuori non troverai più verità di quella che ho creato io per te», perché ormai Truman ha una consapevolezza impossibile di ignorare.
Dopo l’abbandono di Truman, al pubblico che lo ha seguito, amato e ha fatto il tifo per lui durante la sua fuga, non rimane altro che cambiare canale, voltando pagina con altrettanta facilità.
«E casomai non dovessimo rivederci; buon pomeriggio, buona sera e buona notte!»
Voto: 5/5
Comments