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The Unforgivable


2021, 114min.

di Nora Fingscheid

con Sandra Bullock, Vincent D’Onofrio, Jon Bernthal, Richard Thomas


Recensione di Sofia Magliozzo


Spoilerometro:



Se l’ultimo ricordo che avete di Sandra Bullock non è più legato alle commedie d’amore ma alla sua potente e acclamata interpretazione in Bird Box (2018) e non volete rimanere delusi da The Unforgivable, rimuovetelo.

Infatti, a differenza della pellicola del 2018 in cui interpreta una madre coraggiosa che conduce i suoi figli in salvo in un mondo sconvolto da un virus, in questo film, che prova in tutti modi ad essere violento, lei è soltanto una donna “imperdonabile” per aver commesso un crimine vent’anni prima.

The Unforgivable non sa come trattare il personaggio di Sandra Bullock: Ruth Slater, la protagonista, viene presentata come una spietata assassina, indurita dal sistema carcerario e dalle circostanze della sua vita. Ma la storia, basata su una serie inglese del 2009, che pare voler offrire la sua redenzione e il suo perdono, non riesce a fornire alcun motivo per concederglieli e alla fine risulta contorta nella sua stessa logica.



Le dinamiche vengono analizzate lentamente e in modo frammentario all’interno di questo dramma, forse a causa della pretesa di voler tessere la trama, in modo parallelo, di diverse storie incentrate sullo stesso crimine. Ci sono così tanti personaggi, ognuno con retroscena complessi e psicologie integrate nella narrazione, da escludere la possibilità che sia resa giustizia ad ognuno di essi nel tempo a disposizione. Utilizzando la peggior forma di narrazione meccanica inoltre, si ottiene solo un mix di scene con personaggi che professano morale e giudizi.

Infatti, mentre la storia viene portata avanti solo dalla protagonista e dal suo senso di colpa che si estende a macchia d’olio, vengono presentati, gradualmente, i personaggi che prendono parte ai molteplici tentativi di rinascita di Ruth.

Al centro del film c’è anche la coppia che ora vive nella casa in cui, vent’anni prima, si è consumato il dramma. John e Liz Ingram (Vincent D’Onofrio e Viola Davis) appaiono in disaccordo quando si tratta di avere a che fare con Ruth: John, è un avvocato comprensivo che oltre ad aiutarla, prova a consegnarle gli strumenti per controllare la sua realtà, mentre Liz, che è apertamente gelida e scettica nei confronti delle sue intenzioni, la condanna ad essere solamente una criminale, niente di più che un esempio di decadimento morale.

Solamente più avanti Liz riuscirà a vedere Ruth come qualcosa di più dell’atto che l’ha condotta in carcere, ma questo riconoscimento si circoscrive solo a un breve momento in una storia molto più grande, in cui il giudizio e la punizione rimangono il punto focale attorno al quale ruotano tutte le interazioni che ogni personaggio del film stabilisce con Ruth.



Se è tipico di film basati sulla suspense dotarsi di scene dove un silenzio può alimentare il dubbio, in questo caso sembra che, espedienti di questo tipo, non siano stati sfruttati al servizio della narrazione. Che sia stato fatto per colmare dei vulnus della sceneggiatura?


La storia infatti, servendosi della tecnica della narrazione mediante lunghi silenzi, giunge ad una conclusione pacifica e per niente commovente, anche se, con uno sforzo in più si sarebbe potuto sfruttare tutto lo spazio per narrarla in modo più complesso e profondo.

Infatti, non offrendo alcuna speranza per la riabilitazione dopo l’esperienza carceraria, la vicenda non può che essere deludente.

Il film ha tutti gli ingredienti necessari per esplorare questi temi e fornire un commento progressista sulla giustizia e sulle seconde possibilità, ma piuttosto che raccontare una storia di redenzione, responsabilità e pentimento, e dedicandosi per la maggior parte alla descrizione degli atteggiamenti punitivi dei personaggi privi di empatia, finisce per essere null’altro che una desolante rappresentazione della vita dopo il carcere, di cui si conoscono già i tragici elementi, anche senza la visione del lavoro di Nora Fingscheid.


 

Voto: 2/5

 

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