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Ti mangio il cuore

2022, 115min.

di Pippo Mezzapesa

con Francesco Patanè, Elodie, Lidia Vitale


Recensione di Mauro Azzolini


Spoilerometro:



Nel panorama delle organizzazioni criminali raccontate dalle produzioni cinematografiche italiane e internazionali un posto di primo piano è sempre stato occupato dalla ‘Cosa nostra’ siciliana. Prima per storia e per successo al botteghino, essa ha visto insidiato il suo ruolo dalle mafie campane, calabresi e infine romane, soltanto negli ultimi anni. Un gradino sotto, in questa particolare classifica, si trova la cosiddetta “quarta mafia”, ossia quella pugliese.


Ti mangio il cuore porta sul grande schermo la storia di una lotta fra clan rivali del Gargano all’interno della quale si inserisce il complesso rapporto sentimentale tra Andrea Malatesta, figlio del boss di una delle due fazioni in lotta, e Marilena Camporeale, moglie del capobanda avversario. Il loro amore, nato improvvisamente e immediatamente divenuto di dominio pubblico, rappresenta, infatti, il pretesto per dare nuova linfa a una faida secolare che vede cadere, uno dopo l’altro, gli uomini delle due famiglie.



La storia a cui si ispira il film, attraverso il filtro dell’omonimo romanzo di Carlo Bonini e Giuliano Foschini, è quella di Rosa Di Fiore, collaboratrice di giustizia della provincia foggiana che all’inizio degli anni 2000 svela alla magistratura gli orrori di cui è stata testimone. Ed è proprio dalla centralità della donna nello sviluppo degli eventi che parte la costruzione del racconto cinematografico.


Delimitando per il personaggio di Marilena Camporeale uno spazio non primario, ma certamente capace di catalizzare l’attenzione dello spettatore, Mezzapesa riesce a gestire in modo tutt’altro che banale il complesso equilibrio tra una storia i cui protagonisti sono quasi esclusivamente maschili, ma il cui andamento appare determinato in massima parte dalle scelte delle figure femminili.



È dunque in questo contesto che viene messo in campo il peso degli interpreti chiamati a dare corpo e voce ai brutali assassini di San Nicandro Garganico. Da un lato gli anziani, tra cui spicca Michele Placido nel ruolo ambivalente di un boss apparentemente estraneo al conflitto, dall’altro gli emergenti, capitanati da un Francesco Patanè ancora acerbo ma perfettamente in grado di rendere lo smarrimento del giovane chiamato ad assumersi le sue responsabilità da adulto.


A risaltare, attirando su di sé tutta la luce dello straordinario bianco e nero firmato da Michele D’Attanasio e diffondendola in una serie di entusiasmanti variazioni, è Elodie. Punto di partenza e di arrivo della costruzione estetica del film, la cantante romana – alla sua prima prova cinematografica – è autrice di una performance che, pur non ambendo a raggiungere vette recitative da professionista, riesce a dare forma concreta e mai banale al ritratto altrimenti astratto di una donna capace di determinare il proprio destino. È nella sua prorompente fisicità, nel contrasto materiale che la sua figura determina con il paesaggio circostante, che si gioca la funzione diegetica della sua presenza.



C’è, però, qualcosa che non sembra funzionare in questa storia ben interpretata e ben girata, e si tratta della sceneggiatura. La scelta di inserire troppo materiale narrativo e il peso attribuito ad ognuna delle sezioni che compongono il film, determinano un andamento altalenante (troppo veloce nella prima parte, troppo lento nella seconda) che rischia di confondere lo spettatore, risultando in alcuni casi forzato. Ottima, invece, la colonna sonora originale di Teho Tehardo felicemente intervallata da brani pop come Dragostea din tei o Calma e sangue freddo.


Voto: 3.5/5

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