2021, 119min.
di Nanni Moretti
con Margherita Buy, Riccardo Scamarcio, Alba Rohrwacher
Recensione di Mauro Azzolini
Spoilerometro:

Tre famiglie abitano nella stessa palazzina situata in un quartiere elegante di Roma. Le loro vite, dalla prima scena, sembrano entrare in connessione a causa di un incidente. Col dipanarsi della narrazione si comprende, però, che scorrono autonomamente trovando punti di contatto soltanto sporadici, eventi che corrispondono a nulla di più che coincidenze, esattamente come accade nella maggior parte dei condomini medio-borghesi.

Vittorio (Moretti) e Dora (Buy), marito e moglie del terzo piano, sono due magistrati che vivono il rapporto complicato con un figlio profondamente diverso da loro e coinvolto in eventi che ne mettono in risalto la totale assenza di responsabilità nei confronti del prossimo e del mondo; Lucio (Scamarcio) e Sara (Lietti) al piano terra, sono una giovane coppia la cui relazione entra in una crisi irreversibile nel momento in cui la figlia, una sera, si perde nel quartiere per qualche ora mentre passeggia con l’anziano e smemorato vicino di casa; Monica (Rohrwacher), infine, vive al secondo piano con la bambina appena partorita in una profonda solitudine dettata dalla costante assenza di Giorgio (Giannini) per motivi di lavoro.

Gli eventi raccontati coprono un arco di dieci anni, articolati in tre grandi parentesi, ma alla gigantesca compressione che la narrazione opera su un periodo così ampio fa da contraltare l’immobilità del presente. Nonostante non manchino gli eventi in grado di scandire il tempo, ogni giorno sembra uguale al precedente e gli unici cambiamenti, in un paesaggio che resta
sempre identico, sono dati dalla crescita delle giovani protagoniste. È in questo contesto spaziotemporale parzialmente sospeso che si articolano le vicende drammatiche a cui l’omonimo romanzo di E. Nevo, scelto da Moretti come base, attribuisce il ruolo di portatrici di significato rispetto a due temi chiave.
Primo tra questi quello che si potrebbe definire della “genitorialità difficile”. Come spesso accade nei film del regista romano, infatti, i ruoli standard sembrano stravolti ed è la figura femminile ad essere emotivamente assente, distaccata e poco preoccupata anche se profondamente amorevole. Le tre donne che abitano i tre piani della palazzina svolgono la loro funzione materna fuori dagli stereotipi: rigida e capace di rinunciare al figlio pur di non perdere il marito Dora, serena e quasi incapace di preoccuparsi Sara, psicologicamente instabile e sempre meno capace di vedere la realtà Monica. A questo anti-modello materno fa da contrappunto una paternità complessa che vive indifferentemente di picchi di rigidità o apprensione.
Altrettanto centrale è il tema della colpa. L’unico punto di contatto che le vicende vissute nei tre appartamenti sembrano avere è, infatti, quello della responsabilità rispetto agli eventi negativi dell’esistenza. Si tratta di una colpa spesso riconosciuta, sempre attraversata, ma solo in alcune occasioni affrontata nell’ottica di una risoluzione; una colpa che tutti i protagonisti, in un modo o in un altro, sentono di avere e che condiziona le loro esistenze.

Tuttavia Moretti, forse aiutato dalla traccia del romanzo, riesce raccontare la violenza emotiva di questi drammi senza mai risultare morboso, ma anzi con una sobrietà certamente distante dalla pesantezza. Questa forma è il prodotto di un distacco emotivo ricercato, della volontà di non approfondire più di tanto la psicologia dei personaggi ma di rappresentarli piuttosto come esempi delle eventualità che la vita offre e delle conseguenze che si pagano in base a come si sceglie di affrontarle.
Tecnicamente non esaltante il film vive delle prestazioni di Buy e, soprattutto, Rohrwacher, muse di un Moretti che sembra aver rinunciato a mettere se stesso in primo piano, privilegiando la sua sensibilità e una visione del mondo in cui il privato, pur non essendo politico, ha molto da dire sul presente.
Voto: 3.5/5
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